Molte
cose vissute e un aurìtoritratto della “temibile miss Stein” (Hemingway) nel
racconto-romanzo del titolo, in persona di Adele. Una che a vent’anni ragiona e
conversa sottile ma non ha mai provato – o per difendersi dal provare? –
trasporti emotivi. Ne fa l’esperienza in un viaggio in continuo, tra l’Europa,
Boston, New York e Baltimora, e viceversa, l’Italia, Parigi, in tutte le
espressioni note: gelosia, trasporto, abbandono, il ritrovarsi, il sesso evidentemente,
eluso-vissuto magistralmente – in forma di pausa (“dopo un’ora”, “dopo due
ore”): tra le scene di genere meglio scritte. Sotto questo programma: “Ho
sempre ringraziato Dio di non avermi fatto donna” – massima scandalosa e non,
se è da riferire al libro di preghiere ebraico, “Siddur”. Mentra la “concorrente”
(nella seduzione di Helen) Mabel ha “i modi più discreti del perfetto
gentiluomo”. Anzi ha “il tipo italiano”, dell’“Italia decadente” – è l’apogeo
di D’Annunzio. Le due riedizioni sono curate da Stefania Asaro.
Un
triangolo saffico è il tema del racconto del titolo. “Chissà se le cose
differenti saranno mai riconosciute differenti” è il programma del racconto che
lo precede nella prima edizione Einaudi, ancora in commercio, “Fernhurst”:
“Vorrei che le donne imparassero tutto quello che possono ma che non
scambiassero la cultura per l’azione e non credessero che il lavoro di un uomo
sia loro adatto solo perché hanno avuto l’educazione di un ragazzo”. Ma in
amore, per quanto mostri che la cosa le piace, la narratrice-autrice non si
abbandona: l’unico rapporto concepisce “in due casi, un’affettuosa amicizia o
una passione fisica più o meno complessa” – verso la quale, però, aggiunge, “io
ho un orrore quasi puritano”. Incapace di abbandonarsi perché troppo esperta,
cerebrale: “Ho la vaga idea che per essere capaci di qualcosa che ne valga la
pena si debba avere la facoltà di idealizzare un’altra persona e non mi pare di
avere nulla di simile”. Adele è anche l’unica delle tre ragazze del nodo
saffico di cui non sappiamo la conformazione fisica, nemmeno il colore degli
occhi, e gli ascendenti. Ma i suoi ragionamenti non sono asettici, e anzi ben
carnali: è il ptregio del suo racconto.
L’amore
è una scoperta progressiva e lenta. E si rivela alla lettura – alla lettura di
Dante, della “Vita nova”. Ma è un’altra maniera di porre la cosa, originale.
Adele si sveglia “improvvisamente dalla sua lunga apatia emotiva”, in età
adulta, senza saperlo. Non femminista, benché tra donne. E anzi coltivando la
differenza. Residui che oggi sono innovazioni e tanto più si apprezzano. Il
tempo dei due racconti è quello in cui la civetteria era un valore, come la
festa, la vacanza, l’innamoramento, il piccolo è bello, l’attimo fuggente. La
pratica non si riduceva al consumo. Al rapporto qualità-prezzo - tempo,
energia, intensità. Al lavorerio della globale indifferenza, o attivismo che è
la stessa cosa, o produttivismo, del colore grigio indistinto e uniforme. La
diversità è anzi sottolineata, è la chiave dei racconti.
Due
racconti anticonformisti. Antifemminista “Fernhurst”, che reca nel sottotitolo
il programma: “La storia di Philip
Redfern, uno studioso della natura femminile”, mandato in missione al college
femminile di Fernhurst, tra “500 giovani donne”. Saffico quello del titolo, che
in originale è in latino, “Q.E.D”, quod
erat demonstrandum. I primi scritti da Gertrude Stein, prossima ai trent’anni,
“Q.E.D” nel 1903, “Fernhurst” nel 1904, abbandonati e pubblicati postumi settant’anni
dopo. Entrambi autobiografici: Fernhurst è Radcliffe, il college dove Gertrude
fece gli studi, “Q.E.D” la sua iniziazione all’amore, attorno ai vent’anni.
Entrambi già innovativi, nelle subordinate senza punteggiatura, e nella mescolanza
dei “discorsi”, diretto e indiretto, in prima e in terza persona,
circostanziato (c’è molta Roma, molta Toscana, Boston ha un suo cachet, New York ha molte anime) e
avulso. Entrambi di lettura, benché abbandonati, per l’anticonformismo e per la
caratterizzazione dei personaggi e delle storie, di grande risoluzione - molto
meno secchi dei suoi classici, “Tre vite” e “Alice Toklas”. Di tipi americani,
nel solco di Henry James, ma meno velati.
I
rapporti femminili sono di tipo dominante, nei due fracconti: che la donna sia
la direttrice, abbia fatto carriera al posto dell’uomo, non muta la sostanza.
Ma sono di dominio anche gli amori saffici, di Mabel e Adele in gara per la
confusa Helen. Un dominio raffinato, non violento, ma insistente, cinico anche.
Del genere sado-masochistico, seppure psicologico, senza fruste né catene. Un
rapporto che non si saprebbe non definire sciocco, prima che inutile. A perdere
per tutte le parti in causa, contro la regola della somma zero: è una maniera
perversa di essere maschile. Tuttavia ragionato, di doppia reciproca immaturità.
Un
citatissimo Edmund Wilson evoca per “Come volevasi dimostrare”, che definisce
“un documento”, la “sobrietà” e l’“astrattezza di linguaggio” dei romanzi
francesi che hanno fondato le storie d’amore, “Adolphe”, il protoromantico ancora
molto Settecemto, e “La principessa di Clèves”. E questo è vero, la scrittura
“novissima” è settecentesca.
Getrude
Stein, Come volevasi dimostrare,
Einaudi, pp. 149 € 7,23
Q.E.D., Croce, pp. 132
€ 16
Fernhurst, Croce, pp.XXII–58
€ 14
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