mercoledì 24 maggio 2017

Ma quanto si diceva l’amore che non si dice

Molte cose vissute e un aurìtoritratto della “temibile miss Stein” (Hemingway) nel racconto-romanzo del titolo, in persona di Adele. Una che a vent’anni ragiona e conversa sottile ma non ha mai provato – o per difendersi dal provare? – trasporti emotivi. Ne fa l’esperienza in un viaggio in continuo, tra l’Europa, Boston, New York e Baltimora, e viceversa, l’Italia, Parigi, in tutte le espressioni note: gelosia, trasporto, abbandono, il ritrovarsi, il sesso evidentemente, eluso-vissuto magistralmente – in forma di pausa (“dopo un’ora”, “dopo due ore”): tra le scene di genere meglio scritte. Sotto questo programma: “Ho sempre ringraziato Dio di non avermi fatto donna” – massima scandalosa e non, se è da riferire al libro di preghiere ebraico, “Siddur”. Mentra la “concorrente” (nella seduzione di Helen) Mabel ha “i modi più discreti del perfetto gentiluomo”. Anzi ha “il tipo italiano”, dell’“Italia decadente” – è l’apogeo di D’Annunzio. Le due riedizioni sono curate da Stefania Asaro.
Un triangolo saffico è il tema del racconto del titolo. “Chissà se le cose differenti saranno mai riconosciute differenti” è il programma del racconto che lo precede nella prima edizione Einaudi, ancora in commercio, “Fernhurst”: “Vorrei che le donne imparassero tutto quello che possono ma che non scambiassero la cultura per l’azione e non credessero che il lavoro di un uomo sia loro adatto solo perché hanno avuto l’educazione di un ragazzo”. Ma in amore, per quanto mostri che la cosa le piace, la narratrice-autrice non si abbandona: l’unico rapporto concepisce “in due casi, un’affettuosa amicizia o una passione fisica più o meno complessa” – verso la quale, però, aggiunge, “io ho un orrore quasi puritano”. Incapace di abbandonarsi perché troppo esperta, cerebrale: “Ho la vaga idea che per essere capaci di qualcosa che ne valga la pena si debba avere la facoltà di idealizzare un’altra persona e non mi pare di avere nulla di simile”. Adele è anche l’unica delle tre ragazze del nodo saffico di cui non sappiamo la conformazione fisica, nemmeno il colore degli occhi, e gli ascendenti. Ma i suoi ragionamenti non sono asettici, e anzi ben carnali: è il ptregio del suo racconto.
L’amore è una scoperta progressiva e lenta. E si rivela alla lettura – alla lettura di Dante, della “Vita nova”. Ma è un’altra maniera di porre la cosa, originale. Adele si sveglia “improvvisamente dalla sua lunga apatia emotiva”, in età adulta, senza saperlo. Non femminista, benché tra donne. E anzi coltivando la differenza. Residui che oggi sono innovazioni e tanto più si apprezzano. Il tempo dei due racconti è quello in cui la civetteria era un valore, come la festa, la vacanza, l’innamoramento, il piccolo è bello, l’attimo fuggente. La pratica non si riduceva al consumo. Al rapporto qualità-prezzo - tempo, energia, intensità. Al lavorerio della globale indifferenza, o attivismo che è la stessa cosa, o produttivismo, del colore grigio indistinto e uniforme. La diversità è anzi sottolineata, è la chiave dei racconti.
Due racconti anticonformisti. Antifemminista “Fernhurst”, che reca nel sottotitolo il programma:  “La storia di Philip Redfern, uno studioso della natura femminile”, mandato in missione al college femminile di Fernhurst, tra “500 giovani donne”. Saffico quello del titolo, che in originale è in latino, “Q.E.D”, quod erat demonstrandum. I primi scritti da Gertrude Stein, prossima ai trent’anni, “Q.E.D” nel 1903, “Fernhurst” nel 1904, abbandonati e pubblicati postumi settant’anni dopo. Entrambi autobiografici: Fernhurst è Radcliffe, il college dove Gertrude fece gli studi, “Q.E.D” la sua iniziazione all’amore, attorno ai vent’anni. Entrambi già innovativi, nelle subordinate senza punteggiatura, e nella mescolanza dei “discorsi”, diretto e indiretto, in prima e in terza persona, circostanziato (c’è molta Roma, molta Toscana, Boston ha un suo cachet, New York ha molte anime) e avulso. Entrambi di lettura, benché abbandonati, per l’anticonformismo e per la caratterizzazione dei personaggi e delle storie, di grande risoluzione - molto meno secchi dei suoi classici, “Tre vite” e “Alice Toklas”. Di tipi americani, nel solco di Henry James, ma meno velati.    
I rapporti femminili sono di tipo dominante, nei due fracconti: che la donna sia la direttrice, abbia fatto carriera al posto dell’uomo, non muta la sostanza. Ma sono di dominio anche gli amori saffici, di Mabel e Adele in gara per la confusa Helen. Un dominio raffinato, non violento, ma insistente, cinico anche. Del genere sado-masochistico, seppure psicologico, senza fruste né catene. Un rapporto che non si saprebbe non definire sciocco, prima che inutile. A perdere per tutte le parti in causa, contro la regola della somma zero: è una maniera perversa di essere maschile. Tuttavia ragionato, di doppia reciproca immaturità.
Un citatissimo Edmund Wilson evoca per “Come volevasi dimostrare”, che definisce “un documento”, la “sobrietà” e l’“astrattezza di linguaggio” dei romanzi francesi che hanno fondato le storie d’amore, “Adolphe”, il protoromantico ancora molto Settecemto, e “La principessa di Clèves”. E questo è vero, la scrittura “novissima” è settecentesca.  
Getrude Stein, Come volevasi dimostrare, Einaudi, pp. 149 € 7,23
Q.E.D., Croce, pp. 132 € 16
Fernhurst, Croce, pp.XXII–58 € 14 

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