Antropologia – È imbecille,
come Wittgenstein opina contro il “Ramo d’oro”? Il pensare (costruire, strutturare,
creare) il diverso. Con l’eroismo di gente chiusa nel suo self. Che però
innesca (genera) grandi sistemazioni logiche, perfino matematiche. Con
profusione e confusione di modelli e strutture, nome e regole che sono tutte
eccezioni, forchettate di spaghetti che si arrotolano
Comunicazione – È principalmente
immaginazione. La
realtà di oggi va per close-up, primi
piani, tanto illusori quanto invadenti –
la stessa tecnica dei film-tv. Ma non c’è realtà fuori dell’immaginazione. La
comunicazione onesta sta nell’accentuare (denunciare e non dissimulare)
l’immaginazione.
In uno
stato magari ipnagogico, perché no, al limite tra sonno e sveglia. Per cui l’io
e la sua esperienza (immaginazione) diventano direttamente la realtà, il campo
di osservazione. Non c’è trucco (malafede) in questa “distrazione”.
Felicità
–
È nell’aspettativa? Secondo Rousseau, “La nuova Eloisa”: “Non si è felici che
prima di essere felici” Nel desiderio: “Finché si desidera si può fare a meno
di essere felici, perché si aspetta di esserlo”. Nel desiderio indistinto,
cioè, non specialmente mirato o indirizzato: un complesso psico-fisico.
Rousseau è miglior scrittore che
pensatore, in tutte le branche in cui si è avventurato, la sociopolitica
(l’uguaglianza, la volontà generale) come la pedagogia o socio-psicologia (“Le
confessioni”, “La nuova Eloisa”, “Émile”). Ma la felicità non è funzione poetica –
a parte la condizione psico-fisica, l’ossigenazione, la zona temperata, la
stagionalità mite, l’erotizzazione. Il desiderio è funzione energetica.
Fine
–
Si lega alla storia: una
storia esige una fine.
Non c’è senza storia – non inizia.
Gatto
–
O dell’incomunicabilità: Rilke ne tenta le fenomenologia nelle lettere al
giovanissimo Balthus, del quale preparava la pubblicazione dei disegni a china
delle avventurare del suo gatto, Mitsou, come di un essere che “non c’è”. Che
anche quando c’è e fissa l’uomo, è assente. Una presenza-assenza che elaborerà
nella poesia “Gatto nero”: “Un fantasma è ancora un luogo\ . contro cui i tuoi
occhi s’imbattono in una risonanza\ ma
questa nera pelliccia\ disfa il tuo sguardo più acuto”. Un essere al confine
del reale, dell’esistente.
Gelosia – Quella
erotica è una nobilitazione del fenomeno. La gelosia radicale, nella forma più
comune, non è quella d’amore, è una forma di esclusione. Tutto è per il geloso
suo dominio riservato, i suoi amici e familiari e il resto del mondo, anche
quelli di cui gli interessa poco o nulla. È una forma di cattiveria. Di non
crescita: è la gelosia “morbosa” del bambino che tutto vuole per sé.
Ma questo anche nei rapporti personali:
più spesso non è gelosia d’amore a propriamente intendere, una delusione, il
tradimento di una fiducia, quanto una smania di possesso esclusivo. Il geloso
rifiuta anche la semplice conoscenza di altre persone, la frequentazione
obbligata, per scuola, lavoro, trasporti in comune, perfino gli incontri
fortuiti, per strada, in coda.
Novecento – È il secolo del processo, costante,
indistinto, interminabile (Kafka). Per la demoralizzazione dell’Occidente
(Spengler, J.-P.Aron). Cioè per la sua decadenza (Santo Mazzarino)?
E
del complotto anche. Per via della guerra quasi permanente, calda e fredda. Il
più micidiale affondo suicida.
Le
due cose sono legate.
È – è stato – sagra della filologia, come velo di ipocrisia: il “linguaggio
doppio” - la perdita di significato delle parole e quindi delle cose – si può
dire il Male del Secolo.
È –
è stato - un continuo “a parte”. Ghirigoro (riproduzione) e alla fine - scienza
delle parole - rifiuto del linguaggio:
a)
inerte divagazione. E’ la parte innocua del teutonismo che ci ha ammorbati. ma
pur sempre pericolosa: la filologia applicata alla mitologia. E quindi alla
cosmogonia-cosmologia, alla filosofia, alla storia, alla precettistica. Dai
filosofemi di Nietzsche, impetuoso d’immaginazione, alle pacchianerie di Freud
(terribili letture di miti e sogni);
b)
subordinatrice al quadrato. È abdicazione al chi l’ha detto e al già detto. Ma
non si sa bene (non si può) che cosa sia stato detto, e quindi è scuola del
sospetto - quella che produce insicurezza e non quella catartica del giallo:
insicurezza cioè subordinazione, ai signori dell’opinione pubblica, della
disinformazione, delle trame occulte (cioè della propaganda delle trame
occulte, che revient au même.
Perdita – Una forma di
possesso, la dice Rilke (“Abbozzi e frammenti”), di acquisizione: “La perdita...
non può niente contro il possesso… Lo afferma: in fondo non è che una econda acquisizione, tutta interiore questa
volta e altrimenti intensa”.
Santo – È santo (sublime) chi vuole, e già questo
depone a sfavore. Fino al Faust di Goethe, il santo (sublime) farabutto, che cerca la
perfezione e si merita la felicità di delitto in delitto.
Settecento - Faceva contenti “filosoficamente” i re e i
demagoghi: li sbugiardava, cioè, tenendoli in punta di penna.
Tecnica - La teoria del complotto ha radici
altolocate: un secolo di filosofare sul (cioè contro il) predominio della
tecnica che tutto organizza e livella, a scapito dell’individualità e della
conoscenza. Manovrata evidentemente dal Maligno e sue incarnazioni. Non grande
filosofia – la tecnica? l’uomo è tecnico, dacché è uomo.
I
nichilisti massimi, Jünger, Heidegger, forse Sartre, Severino, Vattimo, sono
buoni calligrafi, ma si arrampicano sugli specchi, e troppo impegnati a
scrutarsi. Non per incapacità. Per voglia, inconfessata, di martirio di fronte
alla massificazione della civiltà e della cultura. Col fordismo e i media di
massa la civiltà si è adeguata finalmente alle due grandi rivoluzioni
occidentali, ma la cosa ci immalinconisce: non ne abbiamo capito (o non li
digeriamo) i presupposti, e non capiamo, anche per un gesto di misoneismo
istintivo, il meccanismo e gli sviluppi.
Pasolini,
intervista a Duflot: Giasone è l’eroe attuale, del mondo razionale e
pragmatico, il “tecnico” abulico la cui ricerca è esclusivamente intesa al
successo.
Pasolini
a volte non “sa” troppo?
zeulig@antiit.eu
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