Dialettica
– “La dialettica è la
dittatura dell’ovvio”, Heidegger, “Segni”: “Nella sua rete soffoca ogni domanda”.
Digitale
– È morto a New York
giovedì 27 l’artista americano Vito Acconci. Quello della Performance (fece
scandalo esibendosi nella masturbazione) e nella Video Art, poi diffusissima.
Senza menzione nei media. Non onorevole e nemmeno rituale. Perché era di
genitori meridionali? Ma si può pensare superato dalla tecnologia: basta poca
applicazione col digitale per mixare e remixare videate e immagini.
In un certo senso il digitale è
la vera arte contemporanea: la cancellazione dell’“artista” e dell’“opera”. Ma
allora con una grossa dose di plagio.
Evoluzione – Singolarmente assente per il fenomeno propriamente umano - se non per la sua animalità. In ragione della brevità della storia. Della storia storica, documentabile, parlante. Ma anche per una sorta di atemporalità dell’uomo in quanto ragione e passione.
Non è senza argomenti l’outsider Colin Wilson cha proponeva uno
“sviluppo” dell’immaginazione. E conseguentemente una cronologia - stadi di sviluppo
- della stessa nel tempo conosciuto o rilevabile. Per dare sostanza al suo
proprio progetto di “significanza (purposefulness)
evolutiva”.
Una prospettiva non fallace – oltre che
utile - in tempo di crisi, o di cultura della crisi, il secondo Novecento di
Wilson. Che Wilson chiama dell’esistenzialismo nichilista, ma questo non
incide: l’uomo può e deve accrescere le sue facoltà conoscitive, i “modi
attuali della sua coscienza”. Come, è da vedere. Certamente non col
riduttivismo: rassegnarsi alla piccolezza, al piccolo mondo antico-nuovo, è
rinunciare. In primo luogo all’esigenza della conoscenza. Più complesso è il
grado superiore della purposefulness wilsoniana:
accantonare gli Heidegger, Sartre e altri campioni del nichilismo esistenziale,
per un “esistenzialismo positivo”.
Questo Wilson basa su un circolo di energie
che porta fuori campo. La possibilità di attingere al potenziale umano o evolutivo
dipende da energie positive e non negative. Mentre l’abitudine, la
ripetitività, la noia, la routine, i
riflessi condizionati, il modo d’essere dell’umanità restringe le percezioni
generando un circolo vizioso di energie negative: l’uomo è portato a scegliere di non sapere. Ma è vero che
l’altro modo di approfondire il reale, distruggendolo, non porta se non a un
vicolo cieco – “crocevia” nella terminologia di Heidegger, “cammino
interrotto”.
È questo un allargamento o un
restringimento del potenziale di percezione? Ridurre al nulla è un
potenziamento epocale o una rinuncia alla facoltà conoscitiva? Alla
potenzialità del linguaggio, di inventare inventandosi?
Singolare che, nel Wilson che poi cede
all’occultismo, la critica all’esistente la abbia in comune col filosofo
anti-filosofo Heidegger, questi puntando il dito contro la “tecnica”, piuttosto
che contro la routine, sociale come
conoscitiva.
Freud – O della malizia, perché no. Che il suo
compito di terapeuta intendeva come spiazzamento, anzi esattamente come “depistamento”.
È questo il suo metodo, si sa, ma non nella forma spavalda come la teorizza in
una delle prime riedizioni della “Psicopatologia”, al caso 39 dei lapsus
dell’edizione poi definitiva: “Nel processo psicoterapeutico di cui mi servo
per risolvere ed eliminare i sintomi nevrotici, il lavoro da compiere consiste
molto frequentemente nel depistare, partendo da parole e idee improvvise emesse
come fortuitamente dal paziente, un contenuto di pensiero che, certo, si sforza
di nascondersi, ma che non può tuttavia evitare di tradirsi
involontariamente”.
Il sottotitolo della “Psicopatologia” è “Dimenticanze,
lapsus, sbadataggini, superstizioni ed errori”. Ma niente errori in Freud. Né equivoci,
stanchezze, insonnie, giochi di parole, vuoti di memoria, magari per l’età – o per
la lettura della “Psicopatologia”. Il lapsus era il lapsus linguae. Poi è divenuto freudiano. Ma giusto per il
divertimento? La distrazione non è ammessa. Nemmeno l’errore, o l’ignoranza.
Gli accostamenti Freud fa peraltro capziosi,
molto personalizzati. Scientificamente – terapeuticamente – cosa valida lo scostamento-spostamento
che viene in mente a Freud, o alle sue fonti, piuttosto che non un altro? Il metodo
dello spiazzamento che Freud teorizza è interminabile.
Hegel – Heidegger lo trova
monco, senza “la sua metafisica teologico-cristiana”. Scrivendone nel 1969 (“Segni”),
a proposito dell’“attuale revival hegeliano”: “Il pensiero dominante (di Hegel)
è difficile cavarlo fuori dalla macina della dialettica. Questa non è che un
mulino che macina a vuoto, dato che la posizione di fondo di Hegel, la sua
metafisica teologico-cristiana, è stata sacrificata. Soltanto in essa, infatti,
la dialettica di Hegel trova il proprio elemento e il proprio sostegno”.
Lingua – È
autarchica? Commentando l’ennesimo Hebel, “il poeta di casa”, nella conferenza
“Linguaggio e terra natìa”, 1960, Heidegger introduce surrettiziamente questo
assioma: “Laddove questa conferenza sottolinea talvolta le insufficienze di una
traduzione, l’intento non è di criticare ma di far presente l’autarchia e
quindi l’intraducibilità non solo di ogni parlata, ma anche di ogni lingua
autentica”.
Una
“autentica” sciocchezza, all’apparenza, ogni lingua vivendo anzi e prosperando
di prestiti e adattamenti. E non sottile, non una che comunque sfugga a un
Heidegger. E dunque? La lingua è tendenzialmente autarchica: separatrice prima
che comunicatrice.
Museo – Nasconde più che
mostrare? E tanto più quanto più è pieno e “ricco” – l’esperienza si vuole
singolare, anche quella estetica. Nell’equanimità anche dell’esposizione,
nell’indifferenza agli oggetti, se non per la loro fisicità – ingombri,
illuminazione, ambientazione. E nei criteri dell’ordinamento. È un garage o una
soffitta, più che il salotto, un luogo di fruizione.
L’opera
d’arte deve avere un suo proprio luogo? Si vuole comunque protagonista.
Punto
di vista –
Modifica l’oggetto, eccome, specie, nella comunicazione, anche solo sonora o
visiva, non linguistica. In quella linguistica pesa perfino sulla matematica. È
l’anticorpo più forte del realismo. Cambia col lettore – è il lettore (ascoltatore,
spettatore), di fatto. Un vero punto di vista sarà in grado di leggere un giorno
“M’illumino d’immenso” come uno slogan pubblicitario, uno slogan politico, uno
sberleffo.
Solitudine
–
La solitudine Heidegger distingue dall’isolamento – in “Paesaggio creativo:
perché restiamo in provincia?”, il testo inviato alla radio di Berlino nel 1933
per spiegare il suo rifiuto della cattedra nella capitale alla quale era stato
promosso. L’isolamento è piuttosto nella moltitudine: “Nelle grandi città è
facile essere davvero isolati come in
nessun altro luogo. Ma non si potrà mai esservi in solitudine”. Che è
invece un prodromo di energia: “La solitudine possiede una forza primigenia:
quella di non isolare bensì di scatenare l’intera esistenza avvicinando
all’essenza delle cose”. I dialoghi più spesso fatti di silenzi.
Storia - È rinata
nell’Ottocento. Per questo ancora – irriducibilmente? - romantica e nazionale.
E genialistica, cabalistica, imperiale.
Verità – Aleggia più
che essere, come il suono delle campane, intimo e distante. Come dice Goethe (“Gli
anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meisters”, ed. 1829, libro 2, cap. 11): “Non
è sempre necessario che il vero prenda corpo, è sufficiente che aleggi
spiritualmente intorno come spirito e provochi una sorta di accordo, come
quando il suono delle campane si effonde serioso e amichevole nell’aria”.
zeulig@antiit.eu
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