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giovedì 11 maggio 2017

Secondi pensieri - 306

zeulig

Dialettica – “La dialettica è la dittatura dell’ovvio”, Heidegger, “Segni”: “Nella sua rete soffoca ogni domanda”.

Digitale – È morto a New York giovedì 27 l’artista americano Vito Acconci. Quello della Performance (fece scandalo esibendosi nella masturbazione) e nella Video Art, poi diffusissima. Senza menzione nei media. Non onorevole e nemmeno rituale. Perché era di genitori meridionali? Ma si può pensare superato dalla tecnologia: basta poca applicazione col digitale per mixare e remixare videate e immagini.
In un certo senso il digitale è la vera arte contemporanea: la cancellazione dell’“artista” e dell’“opera”. Ma allora con una grossa dose di plagio.

Evoluzione – Singolarmente assente per il fenomeno propriamente umano - se non per la sua animalità. In ragione della brevità della storia. Della storia storica, documentabile, parlante. Ma anche per una sorta di atemporalità dell’uomo in quanto ragione e passione.
Non è senza argomenti l’outsider Colin Wilson cha proponeva uno “sviluppo” dell’immaginazione. E conseguentemente una cronologia - stadi di sviluppo - della stessa nel tempo conosciuto o rilevabile. Per dare sostanza al suo proprio progetto di “significanza (purposefulness) evolutiva”.
Una prospettiva non fallace – oltre che utile - in tempo di crisi, o di cultura della crisi, il secondo Novecento di Wilson. Che Wilson chiama dell’esistenzialismo nichilista, ma questo non incide: l’uomo può e deve accrescere le sue facoltà conoscitive, i “modi attuali della sua coscienza”. Come, è da vedere. Certamente non col riduttivismo: rassegnarsi alla piccolezza, al piccolo mondo antico-nuovo, è rinunciare. In primo luogo all’esigenza della conoscenza. Più complesso è il grado superiore della purposefulness wilsoniana: accantonare gli Heidegger, Sartre e altri campioni del nichilismo esistenziale, per un “esistenzialismo positivo”.
Questo Wilson basa su un circolo di energie che porta fuori campo. La possibilità di attingere al potenziale umano o evolutivo dipende da energie positive e non negative. Mentre l’abitudine, la ripetitività, la noia, la routine, i riflessi condizionati, il modo d’essere dell’umanità restringe le percezioni generando un circolo vizioso di energie negative: l’uomo è portato a scegliere di non sapere. Ma è vero che l’altro modo di approfondire il reale, distruggendolo, non porta se non a un vicolo cieco – “crocevia” nella terminologia di Heidegger, “cammino interrotto”. 
È questo un allargamento o un restringimento del potenziale di percezione? Ridurre al nulla è un potenziamento epocale o una rinuncia alla facoltà conoscitiva? Alla potenzialità del linguaggio, di inventare inventandosi?
Singolare che, nel Wilson che poi cede all’occultismo, la critica all’esistente la abbia in comune col filosofo anti-filosofo Heidegger, questi puntando il dito contro la “tecnica”, piuttosto che contro la routine, sociale come conoscitiva.

Freud – O della malizia, perché no. Che il suo compito di terapeuta intendeva come spiazzamento, anzi esattamente come “depistamento”. È questo il suo metodo, si sa, ma non nella forma spavalda come la teorizza in una delle prime riedizioni della “Psicopatologia”, al caso 39 dei lapsus dell’edizione poi definitiva: “Nel processo psicoterapeutico di cui mi servo per risolvere ed eliminare i sintomi nevrotici, il lavoro da compiere consiste molto frequentemente nel depistare, partendo da parole e idee improvvise emesse come fortuitamente dal paziente, un contenuto di pensiero che, certo, si sforza di nascondersi, ma che non può tuttavia evitare di tradirsi involontariamente”. 
Il sottotitolo della “Psicopatologia” è “Dimenticanze, lapsus, sbadataggini, superstizioni ed errori”. Ma niente errori in Freud. Né equivoci, stanchezze, insonnie, giochi di parole, vuoti di memoria, magari per l’età – o per la lettura della “Psicopatologia”. Il lapsus era il lapsus linguae. Poi è divenuto freudiano. Ma giusto per il divertimento? La distrazione non è ammessa. Nemmeno l’errore, o l’ignoranza.
Gli accostamenti Freud fa peraltro capziosi, molto personalizzati. Scientificamente – terapeuticamente – cosa valida lo scostamento-spostamento che viene in mente a Freud, o alle sue fonti, piuttosto che non un altro? Il metodo dello spiazzamento che Freud teorizza è interminabile.

Hegel – Heidegger lo trova monco, senza “la sua metafisica teologico-cristiana”. Scrivendone nel 1969 (“Segni”), a proposito dell’“attuale revival hegeliano”: “Il pensiero dominante (di Hegel) è difficile cavarlo fuori dalla macina della dialettica. Questa non è che un mulino che macina a vuoto, dato che la posizione di fondo di Hegel, la sua metafisica teologico-cristiana, è stata sacrificata. Soltanto in essa, infatti, la dialettica di Hegel trova il proprio elemento e il proprio sostegno”.

Lingua – È autarchica? Commentando l’ennesimo Hebel, “il poeta di casa”, nella conferenza “Linguaggio e terra natìa”, 1960, Heidegger introduce surrettiziamente questo assioma: “Laddove questa conferenza sottolinea talvolta le insufficienze di una traduzione, l’intento non è di criticare ma di far presente l’autarchia e quindi l’intraducibilità non solo di ogni parlata, ma anche di ogni lingua autentica”.
Una “autentica” sciocchezza, all’apparenza, ogni lingua vivendo anzi e prosperando di prestiti e adattamenti. E non sottile, non una che comunque sfugga a un Heidegger. E dunque? La lingua è tendenzialmente autarchica: separatrice prima che comunicatrice.

Museo – Nasconde più che mostrare? E tanto più quanto più è pieno e “ricco” – l’esperienza si vuole singolare, anche quella estetica. Nell’equanimità anche dell’esposizione, nell’indifferenza agli oggetti, se non per la loro fisicità – ingombri, illuminazione, ambientazione. E nei criteri dell’ordinamento. È un garage o una soffitta, più che il salotto, un luogo di fruizione.
L’opera d’arte deve avere un suo proprio luogo? Si vuole comunque protagonista.

Punto di vista – Modifica l’oggetto, eccome, specie, nella comunicazione, anche solo sonora o visiva, non linguistica. In quella linguistica pesa perfino sulla matematica. È l’anticorpo più forte del realismo. Cambia col lettore – è il lettore (ascoltatore, spettatore), di fatto. Un vero punto di vista sarà in grado di leggere un giorno “M’illumino d’immenso” come uno slogan pubblicitario, uno slogan politico, uno sberleffo.

Solitudine – La solitudine Heidegger distingue dall’isolamento – in “Paesaggio creativo: perché restiamo in provincia?”, il testo inviato alla radio di Berlino nel 1933 per spiegare il suo rifiuto della cattedra nella capitale alla quale era stato promosso. L’isolamento è piuttosto nella moltitudine: “Nelle grandi città è facile essere davvero isolati come  in nessun altro luogo. Ma non si potrà mai esservi in solitudine”. Che è invece un prodromo di energia: “La solitudine possiede una forza primigenia: quella di non isolare bensì di scatenare l’intera esistenza avvicinando all’essenza delle cose”. I dialoghi più spesso fatti di silenzi.

Storia - È rinata nell’Ottocento. Per questo ancora – irriducibilmente? - romantica e nazionale. E genialistica, cabalistica, imperiale.

Verità – Aleggia più che essere, come il suono delle campane, intimo e distante. Come dice Goethe (“Gli anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meisters”, ed. 1829, libro 2, cap. 11): “Non è sempre necessario che il vero prenda corpo, è sufficiente che aleggi spiritualmente intorno come spirito e provochi una sorta di accordo, come quando il suono delle campane si effonde serioso e amichevole nell’aria”.

zeulig@antiit.eu

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