A Palermo, nell’ultima giornata di campionato,
l’arbitro e il Palermo giocano per l’Empoli. Ma il Palermo batte, suo malgrado,
e malgrado l’arbitro, l’Empoli, che va in B. Mentre il Crotone, malgrado
l’arbitro, vince di forza e resta in A. C’è un giustizia compensativa, in
effetti, sulle “giuste” ingiustizie umane.
Molte
lacrime (di coccodrillo?) di mullah e associazioni mussulmane ogni volta che
c’è una strage in Europa o negli Usa, a opera di terroristi islamici. Ma mai una
denuncia di un terrorista. Che tutti conoscono, poiché non vivono in clandestinità.
Sarà qui l’origine dell’omertà? Nei tanti arabi e saraceni che popolarono mezza
Sicilia e mezza Puglia, e s’inguattarono su per le montagne in Calabria e nel
Cilento?
Del
resto nell’islam la taqiyyah, la
dissimulazione, è una virtù.
Ma
la verità è che non c’è omertà al Sud. E la dissimulazione mussulmana probabilmente
non è omertà, è orgoglio. L’Arabia Saudita ne è una prova, che non osserva il
minuto di raccoglimento per le vittime australiane della strage di Londra,
prima della partita di qualificazione per il Mondiale con l’Australia
La
sfida dell’Arabia Saudita poi è stata perdente. L’orgoglio più spesso lo è.
“Tre
volte negli ultimi cento anni la letteratura meridionale ha rinnovato la letteratura dell’Italia”,
Bruno Migliorini, “Storia della lingua italiana”. Quattro in realtà, il
linguista non censiva il romanesco di Gadda e Pasolini – la sua “Storia” esce
nel 1960.
Elogio dell’ombra
Meglio la Grecia, per una vacanza di mare
anticipata, con la mezza stagione, che la costa turca, pure così affascinante.
Perché in Grecia si coltiva l’ombra. Nella piazza, all’osteria, al caffè, al
mare, in albergo e anche in bed and breakfast, alle sorgenti, termali e fredde.
Si può perfino parcheggiare all’ombra. Olimpia, l’Olimpo, Dodona, in qualche
modo anche la costa erta di Delo, perfino il Partenone, si possono visitare con
congrui rifugi nell’ombra. Lo stesso Atene e le città. Si vada a Efeso o a
Pergamo, per non dire a Istanbul: non c’è riparo.
La “Grecia in Italia” invece non cura l’ombra. Roma,
alberata peraltro dai “piemontesi”, con a capo Garibaldi, si può dire una città
dell’ombra. Napoli invece no, e non si saprebbe dire il perché. La stessa
curiosa differenza si riscontra tra Messina, molto alberata, e Reggio Calabria,
col sole invadente, divise solo dallo Stretto e ricostruite entrambe negli anni
1910 dopo il terremoto. Un rovesciamento tanto più incomprensibile in quanto la
Sicilia è stata “turca” (araba) e la Calabria invece greca – ancora fino a
ieri: dei dieci cognomi più usati nove sono greci e uno arabo (Morabito). Forse
nella mescolanza bizantina o neo greca, comune a Napoli e a Reggio, prevale
l’elemento “turco”.
La “Grecia in Italia” istituzionale. Quella
domestica ha invece giustamente il culto dell’ombra. Nell’orientamento delle
case. Nella disposizione delle imposte con la cura principale per la luce
eccessiva e il calore. Vivere in casa in penombra nei mesi e stivi è forse la
differenza maggiore nel modo di vita tra il Sud e il Nord. Una differenza
culturale.
La pazzia che viene dal Nord
La pazzia di
Nord-Nordovest è distintamente dell’“Amleto”, atto 2, scena 2. Lo stesso Amleto
lo spiega a Guildenstern, che gli chiede: “In che senso, mio signore?”. Amleto:
“Non sono pazzo che a Nord-Nordovest.\ Quando il vento è dal Sud, riconosco un falco da un airone”.
“Intrigo
internazionale”, il famoso film di Hitchcock, si intitola in originale “North
by Northwest”,
E si basa su tre riferimenti a Shakespeare, all’“Amleto”.
Il titolo, derivato dal dialogo fra Guildenstern e il principe. La follia finta
– c’è molto nel film che non è quello che sembra. Il tema di fondo, della
realtà che si nutre di apparenze, tutte false: il pubblicitario allegrone di
Madison Avenue, scambiato per una spia che è anche un freddo killer, una spia
inventata dalla Cia per distrarre l’attenzione da un vero infiltrato.
Sicilia
Al
museo a Messina - la galleria provinciale, pure ricca di Antonello e Caravaggio
- Leo Lomngasei scopre “la tristezza siciliana , antica di secoli, che li lega
e ci segue da una stanza all’altra”. Di quadri alle pareti “tutti eguali,
scuriti e sinistri, come dipinti dallo stesso artista in secoli diversi”.
Al
“gran caffè” di Messina, che sarà stato l’Irrera di piazza Cairoli, all’epoca
un monumento fastoso degli anni 1930, rutilante di specchi, marmi, pasticceria
policroma, Longanesi trova tutti eccitati dalla sua presenza – dalla presenza
del forestiero. “Il caffè è gremito di folla rumorosa e eccitata; tutti
guardano noi, nuovi del luogo; e ci guardano insistenti, con occhi desolati e
teneri che sembrano celare un amoroso lamento”. Come le bestie allo zoo
guardano il visitatore.
Ma
è verosimile, non è immagine di maniera: la dipendenza è forte.
Patricia
Spence, terza moglie di Bertrand Russell, mollò il filosofo brusca, stanca
della sua volagerie, nel 1950 alla
fine di un a vacanza in Sicilia. Lui di 78 anni, lei di 40. Nella vacanza lui corteggiava la trentanovenne Daphne Phelps, inglese
di rango a Taormina, bisessuale, che aveva ereditato per matrimonio Casa
Cuseni, una villa di campagna da lei arredata con gusto e dotata di un giardino
– un’attrazione fino a qualche anno fa.
Patricia,
che per l’indignazione poi si nascose tutta la vita, anche al figlio che
avevano avuto con lord Russell, ne era diventata l’amante in una precedente
vacanza in Sicilia, nel 1936. “Peter”, così Patricia veniva chiamata dal
filosofo, era stata aggregata come bambinaia per una vacanza offerta da
Bertrand Russell alla sua precedente moglie, la scrittrice Dora Black, con i figli; E con l’amante di
Dora, che ne aspettava un figlio. Capelli “rosso fuoco”, “Peter” dormiva col
filosofo, Dora con l’amante.
L’antichista
illustre Arthur Rosenberg, “Democrazia e lotta di classe”, contava gli schiavi
in Sicilia in “milioni”: “In quest’inferno sociale dell’antichità il numero
degli schaivi era superiore alla moltitudine degli uomini liberi”. La Sicilia
come “inferno sociale”, dunque, all’origine. Sono eredità che non si
dimenticano: schiavi e signori.
Luciano
Canfora, nel suo saggio su Rosenberg, “Il comunista senza partito”, un suo
alter ego, commenta: “È chiaro che Rosenberg pensa qui alle descrizione di
Diodoro delle guerre servili siciliane («l’inferno sociale!»), ma stranamente
in questo caso accetta gli alti numeri, spesso contestati, di Diodoro”.
Con
i Vespri Siciliani si rianima l’opposizione ghibellina in tutta l’Italia. S’interrompe
il predominio della langue d’oïl. Si
fa strada un accesso diretto, invece che mediato dalle traduzioni francesi,
alle fonti latine (Bruno Migliorini, “Storia della lingua italiana”). C’è la
Sicilia all’origine dell’Italia.
Poi
venne la Spagna, anche in Sicilia. Secoli di Inquisizione, e di rivolte
sterili. Pitré, nella raccolta di osservazione sul palazzo Chiaramonte a
Palermo, o dello Steri, sede dell’Inquisizione spagnola a Palermo, pubblicato
da Sciascia col titolo “Urla senza suono”, individua tra i graffiti delle
celle, “sotto la iniziale B.”, “il celebre Francesco Baronio da Monreale”. Che
dice “dei più eruditi sacerdoti della Capitale”. Arruolato nel 1647 da un
rivoluzionario, “il battiloro Giuseppe D’Alesi, fattosi Capitano del popolo”, e
per questo incarcerato. Tutti gli insorti furono poi in vario modo giustiziati.
Il
Capitano del Popolo, si sa dalle cronache, si limitava ad andare, da solo, ai
Quattro Canti, a cavallo è vero, e qui, sceso da cavallo, sguainata una sciabola,
chiedere a squarciagola la cacciata degli spagnoli.
L’erudito
sacerdote, dice Pitré, fu inguaiato “allorché sul finire di quell’anno (1646)
un certo Placido Serletti calabrese sognò una repubblica siciliana avente a
capo il Baronio”.
Serletti,
un siciliano calabrese di origine, non era un provocatore, in termini moderni:
lui stesso fu carcerato, torturato e strozzato, o decapitato.
leuzzi@antiit.eu
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