Il
“romanzo” di una beffa. Di una “danza macabra” sulla sua fine, che il
protagonista si organizza. Curato e introdotto da Walter Pedullà, l’autorità
letteraria del Novecento, coordinatore delle “Letteratura italiana del
Novecento” di Rizzoli. Con una nota di Santino Salerno, conterraneo di Répaci e
cultore dela sua memoria in argute pubblicazioni, tra cui lo spdciale “Una
lunga vita nel secolo breve”. La figurazione forse migliore del genere per
altri versi (progettuali, artistici) inafferrabile, la danza macabra L’opera
migliore probabilmente di Leonida Repaci. Uno scrittore dimenticato perché mal
letto.
Walter
Pedullà avvicina il romanzo all’espressionismo, un filone culturale che Répaci
prediligeva: questo “libro infernale” è “il suo romanzo più autentico”. O
ancora: “Questo romanzo matto è anche la sua opera più saggia”. Debenedetti ha
accennato a Pirandello. Salerno ricorda che è ispirato a “un fatto realmemte
accaduto”. Qualcuno, a Palmi, aveva voluto il suo funerale come una festa “di miseri,
di storpi, di affamati, di straccioni, di questuanti”, in estremo dileggio alla
vita, e alla non amata consorte. Con un finale “romanzesco” che non merita
ricordare – da letteratura d’appendice, come dire “non c’è amore tra gli ulivi”,
parodiando il celebre titolo di De Santis.
Entrambi,
Pedullà e Salerno, vogliono la vicenda e il suo protagonista un caso della
Calabria che “dà il peggio di sé”. Ma allora
un peggio che è anche il meglio: una beffa, un maestoso sberleffo, seppure a
opera di un nemico del popolo, uno sbruffone e forse anche un violento. Il “riccone”
si volle all’epoca – il romanzo fu pubblicato nel 1956 - il latifondista feudale
sfruttatore del popolo. È lo è, forse. La storia è quella di un nichilista. L’espressionismo
ci può stare, e anche Pirandello, non tutto è come appare. Ma il riccone è,
nella maniera come si presenta, nel misto di orgoglio cieco e disprezzo che lo materializza,
l’anarcoide “calabrese tipico”. Che non esiste naturalmente, ma vive e si esprime
con lo scherzo (“’a zannella”, da antichi zanni),
la beffa, l’ironia, il sarcasmo, la sfida costante. Improduttiva ma
irrinunciabile.
Lo
dice indirettamente anche Walter Pedullà nel “ricordo” dello scrittore che
premette alla riedizione da lui curata: il prosatore, più dannunziano nella
scrittura che non, dà il meglio di sé quando si avvicina alla Calabria. A
Palmi, bisogna specificare, allo sperone marinaro ex terragno tra cielo a mare,
tra due mondi cristallini. Un mondo saturo di follia, nell’assetto
dell’irrisione : un “vaffa” costante, ma divertito e partecipe più che vendicativo
– perfino nelle elezioni a sindaco di questi giorni. È la forma popolare anche
di humour - canonizzata nella stessa
Palmi da Domenico Zappone, di due generazioni più giovane, in famosi racconti
che Santino Salerno ha riesumato.
Un
fondo anarcoide che è anche la tara della regione, linguistica e letteraria. In
basso – tutti snob in Calabria, e volages,
anche gli ignoranti. E in alto, anche nella brutalità – gli unici “seri”,
posati, incessanti, sono in Calabria i violenti: mirati, costanti fino
all’ossessione.
Leonida
Répaci, Un riccone torna al paese,
Rubbettino, pp. 129 € 10
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