Dal Pantheon a Fontana di Trevi per via
dei Pastini non è, come al solito, una buona idea, la stradina è iperaffollata,
tanto più a giugno, questo giugno, con la canicola. L’amica che rivede Roma
dopo trentacinque anni insiste, e quindi si fa.
È peggio che nelle aspettative: è letteralmente ingombra di tavolini che offrono cucina a tutte le 24 ore, e di turisti sventurati che ci mangiano, seppure con una certa soddisfazione. Nonché di venditori ambulanti agli angoli.
È peggio che nelle aspettative: è letteralmente ingombra di tavolini che offrono cucina a tutte le 24 ore, e di turisti sventurati che ci mangiano, seppure con una certa soddisfazione. Nonché di venditori ambulanti agli angoli.
Si procede distratti, rassegnati al
peggio, ma attenti a scansarsi, per riflesso condizionato. Una moto procede a basso
volume di giri, imperiosa. Vistosa, il genere superbike. Cavalcata da
due uomini con baffoni, ma questo non è più singolare. Se non che non è la sola
– è zona pedonale ma a Roma ci sono eccezioni: una segue, altrettanto vistosa,
con una ragazza sul sellino. E non è finita, una terza segue, al minimo, quasi
silenziosa, assecondando il moto ondivago della folla, ma facendosi strada.
È caldo, è caldo per tutti, si osserva e
non si osserva, si vede e non si vede. Finché, sorpresa, all’ingresso infine nella
piazza monumentale, presagio d’aria, all’angolo basso, i due baffoni della superbike
si ergono in piedi, massicci. Il guidatore, il capo?, strizza un miniportafogli
sbrecato – lo spreme con dita vigorose più che cercarci dentro. Il possessore,
un asiatico minuto, tratti fanciulleschi cole loro hanno, trema sorridendo. Abbozza
un sorriso ma la testa gli trema: un rictus, la paura, un invito alla
benevolenza? Ha un borsone piccolo, e vuoto più che pieno, non si vede di che,
ma non ha fatto in tempo a chiuderlo. Dalla seconda moto la ragazza è scesa dal
sellino, col suo guidatore, e si tiene a distanza, la mano sulla borsa a tracolla.
La terza moto si sta fermando, la mettono sul cavalletto.
È un controllo di polizia, forse dei
carabinieri – si capisce: vanno insieme, ci sono gerarchie. Era sembrata,
effetto dell’afa, della malavoglia, una spedizione punitiva o di controllo, di qualcuno dei padroni del territorio di cui
si legge. Dei famosi Tredicine di cui “Il Messaggero” ci ingombra. Dei
Casamonica, va’ a sapere. Dei mafiosi.
Il venditore all’angolo con la Spada d’Orlando,
un africano, era sembrato scambiasse un cenno d’intesa col capo pattuglia: il
tipo kikuyu, stortignaccolo, con molte turiste attaccate alle sue borse, i
kikuyu sono abili commercianti. Il venditore di cappelli all’ansa col tempio di
Adriano, davanti al negozio dei pinocchietti, un asiatico, non si era nemmeno girato.
Il resto del percorso, di là di via del Corso, sulla via Muratte, gli ambulanti
senegalesi stanno sdraiati all’ombra. Hanno chiuso teli e borsoni, si riposano.
Sono l’altro aspetto del controllo del territorio: non si salva chi non è parte
di una cosca. Riposano con loro dei tipi somali, che non si saprebbe dire ambulanti
– il somalo non lavora: faranno il loro controllo del territorio.
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