L’assassinio
freudiano del padre è lungo 480 pagine, da figlio crononauta – anche perché il
padre, centenario, non vuole saperne di morire. Seguono venti di sollievo dopo
morto, anche per il lettore. Un padre che è figurativo, il Novecento - da cui il
solo assente è proprio Freud. Che non è detto sia morto.
Un racconto divertito.
Ma purtroppo non divertente: l’autore di “L’unico scrittore buono è quello
morto” si diverte, ancora, a oltraggiare il lettore. Con citazioni sparse, di
Pound, Jimi Hendrix, Chatwin (“Che ci faccio qui?”). Arguzie goliardiche,
post-ginnasiali – L’Ombroso, il professor Tanfi-Banfi, “chi non osa non
chiosa”, “leggere non è tanto simile a leccare?”, ce n’è a ogni pagina, Lotte Continua, il frastuono del silenzio.
Comparsate varie, di Hemingway, Brecht, Sibilla (Aleramo) - da comica: Marie
Curie appare spiritista.
I figli scoprono
il padre, se lo fanno, dopo che è morto. In genere con sorprese. Qui la
sorpresa è la normalità. Dopo una serie di eccessi innaginari e noiosi –
faticosi: sarà il pedaggio dei concorrenti allo Strega? L’editore mette sulle
tracce di Vonnegut e Benni. La seconda è vera, ma alla potenza.
Marco Rossari, Le cento vite di Nemesio, Edizioni e\o,
pp. 500 € 18
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