Il
primo viaggio in nave al primo comando contro la bonaccia in mare e la
pestilenza – diciassette giorni tra Bangkok e Singapore. Col senso caratteristico
– il sortilegio – del disfacimento, che è il tropico per gli europei. Con un
curioso – non disturba – va e vieni nei tempi del racconto, tra il passato e il
presente. Le cose si concludono bene poiché il protagonista ce le sta
raccontando, ma la tensione è sempre elevata. E non per essere conradiani.
La
storia è semplice: c’è da “governare una nave in corsa selvaggia piena di
moribondi”. Dopo quindici giorni di calma letale. Una storia di resistenza, contro
ogni elemento: mare, aria, uomini. E di tradimenti, fino al malocchio: il
vecchio comandante, che tiene la nave bloccata in calma piatta nel punto in cui
è stato seppellito, si è venduto di nascosto anche la provvista di chinino. Una
storia della ragione della follia. O della follia della ragione. Un rito di
passaggio anche, per il giovane capitano-narratore: dall’aria mefitica, infetta,
uscirà il futuro, temprato.
Barillari ne sa di più, in linea con l’ultima
critica inglese. Il racconto dice “un'allegoria perfetta della guerra mondiale
che allora imperversava in Europa. Come in guerra, anche sull’imbarcazione l’unica
speranza di salvezza sta nel fare con abnegazione e sacrificio ognuno la
propria parte”. Scritto e pubblicato, si può aggiungere, negli ultimi
tre mesi del 1916. Quando Conrad, prossimo ai sessant’anni, si era già
lamentato con molti della propria inabilità da combatente, e il figlio Borys
era invece riuscito ad arruolarsi benché minorenne, ed era al fronte.
Il
racconto è dedicato ai giovani soldati: “A BORYS E A TUTTI GI ALTRI\ che come
lui hanno attraversato\ nella prima gioventù la linea d’ombra\ della loro
generazione\ CON AFFETTO”. Sotto il motto: “Meritevoli del mio perenne riguardo”.
È “Una confessione”, come dice il sottotitolo, ma anche una celebrazione della
gioventù che si avventura, si sacrifica. Una confessione peraltro che non è una
confessione. Piuttosto un memoir, nel
senso di un racconto di esperienza vissuta.
Conrad
non amava la guerra. Dieci anni prima l’aveva ridotta a illusione e congiura
delle autocrazie (“Autocracy and War”, sul conflitto russo-giapponese, che è
considerato il suo più importante saggio politico, oltre che lungo, cica 60
pp.). Ma la guerra europea è da combattere sul campo. A un corrispondente scriveva
il 28 gennaio 1915: “Sembra leggerezza quasi criminale parlare in questi tempi
di libri, storie, pubblicazione”.
Il
racconto era stato concepito già quindici anni prima, in quella che pure viene
definita la stagione più creativa di Conrad, col titolo “First Command”, ma non
scritto. È con la guerra che è venuto fuori fluido, intangibile. Borys tornerà dalla
guerra gasato all’iprite e a lungo sotto shock.
Tutti
gli editori hanno una “Linea d’Ombra” – Conrad è probabilmente il classico più
edito in Italia. L’edizione migliore è probabilmente quella Oscar, di Gianni
Celati. Ma non per la traduzione, poco conradiana, come si può vedere leggendo in
parallelo. L’ultima, quella di Simone Barillari, che ha curato l’edizione
Feltrinelli (dotandola anche delle utili note dell’edizione classica Penguin),
scorre più aderente.
La
traduzione Einaudi, rinnovata da Flavia Marenco, reca “Una confessione”, il sottotitolo,
in copertina. Con la vecchia nota di Cesare Pavese, significativa per Pavese,
datata per Conrad, di cui apprezza l’ “onestà”.
Joseph
Conrad, Linea d’ombra, Feltrinelli,
pp. 180 € 8
Einaudi,
pp. 89 € 9
Oscar
Scuola, pp. XLI-295 € 6
Nessun commento:
Posta un commento