Una serie di quadri,
più che due racconti, del “paese della febbre e dell’infanzia”. Pieni di voglie
e di energia, a 24 anni, quasi una primizia, nelle pause dell’assorbente
relazione con Lou Andreas Salomé che lo apriva a se stesso. Di maniera però,
più che acerbi. Contro il nazionalismo.
Rilke, praghese di
nascita, conserva della città l’immagine di “enigma e disordine”. Vi aveva
passato un’infanzia triste per le liti tra i genitori. In un contesto culturale che rievoca come “un
contatto maledetto tra due corpi linguistici indigesti l’uno per l’altro”. Ma scrive i racconti per superare la
divisione, in qualche modo, con l’ottimismo. Molto si dice sui Tedeschi che
escludono i Cechi, li disprezzano.
Cosmopolita per
eccellenza, Rilke non ama il nazionalismo, i “nobili e bei discrosi del’entusiasmo
anzionale”. Ma lo rappresenta, seppure con ironia e compassione. I cechi sono
contro i tedeschi, ma senza odio. “L’odio rende tristi”, ragiona il gobbetto
Bohusch dietro cui Rilke si nasconde: “I Tedeschi possono fare tutto ciò che
vogliono. Non capiranno mai il nostro paese, dunque non potranno mai
prendercelo”. E i Cechi rappresenta nel secondo racconto nazionalisti, ma con juicio. “Secoli separano i Cechi
colti dal popolo”, riflettono i giovani nazionalisti: “È questa la nostra
tragedia, non i Tedeschi”.
Un apologo anomalo
nella tanta letteratura su Praga: da tedesco, dell’occupazione tedesca, più che
dell’innesto delle due culture. Unico tedesco di Praga, probabilmente, che
scrive dei Cechi, dall’interno.
Rainer Maria Rilke, Due storie praghesi, e\o, pp. 160 €
4,90
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