L’ennesimo
peana alla Germania, da parte di un’economista, docente alla Luiss e alla Stanford
di Firenze, merkeliana. A sensazione? È agile, infatti, e inconcludente: la
tesi è quella che il titolo dice, la trattazione è curiosa, le conclusioni –
che sul lettore sono riversate sin dall’inizio, come in un pamphlet - contrarie all’assunto.
L’austerità
non crea populismo? Come no, i partiti anti-euro e anti-austerità non vincono,
ma sono passati dal 5 per cento cronico degli scontenti al 30 e fino al 40 per
cento. La Brexit non è anomala, e non è da poco. È strano che De Romanis non
cambi parere ora, dopo l’elezione di Trump – in un paese che ha avuto col
predecessore Obama una politica monetaria e una ricrescita post-crac doppia
dell’Europa.
Tra
il 2008 e il 2015 solo otto governi su 28 sono stati riconfermati in Europa. Ma
la bocciatura elettorale non è la bocciatura dell’austerità?
Dietro
il velo di Draghi (ma sono poche righe) si fa il caso naturalmente della
Germania. Che la politica di austerità ha voluto, e ha tassi di crescita
record. La Germania dei governi Merkel, di cui De Romanis è apologeta politica
- “Il metodo Merkel. Il pragmatismo alla guida dell’Europa”, 2009, “Il caso
Germania. Così la Merkel salva l’Europa”, 2013. Ma la Germania dei governi Merkel ha
avuto una politica post-crac in due fasi: nella prima, fino al 2010, ha speso
qualcosa come 600 miliardi, di cui almeno 450 di fondi europei, per salvare e
ricapitalizzare il sistema finanziario tedesco (banche, crediti, debiti,
investimenti). È da metà 2010 che ha imposto l’austerità. Alla Grecia in primo
luogo, che pretendeva di salvare con 30 miliardi (trenta), creando due anni di
agonia sui debiti pubblici in Europa. E poi all’Italia, il cui debito fu messo
nel mirino con vari artifici. Da parte di un paese che nasconde un quarto del
suo debito dietro una finta spa, Kfw, l’istituto di credito per la
ricostruzione, mentre quelli dell’analoga Cdp, che è una vera spa, sono
pubblici. Questo si chiama un vantaggio comparativo, di quelli che l’euro e la
Ue erano nati per abolire.
La
Germania di Merkel è sicuramente più brava, ma di un genere non consigliabile. Qualche
dato non avrebbe fatto male all’entusiasmo. È difficile negare la crisi dell’Europa.
E come si fa a spendere Draghi per l’austerità? Che tra l’altro ha fatto
crescere il debito italiano, per il solo effetto spread (aspettative), di un centinaio di miliardi.
Il
caso negativo è naturalmente l’Italia. De Romanis tace di Monti: è difficile sostenere
che il professore non ha distrutto (ci ha provato) l’Italia – non l’ha votato
nessuno. Fa il caso di Renzi, che ha allargato la spesa ed ha perso (ha perso il referendum, ma la sconfitta è
politica). Ma questo è un caso diverso: Renzi ha allargato la spesa solo in
minima parte per favorire la produzione e il lavoro, la creazione di ricchezza.
E niente per la sostenibilità finanziaria, con la crisi acuta di mezzo sistema
bancario, tra Toscana e Veneto. In gran parte, dagli 80 euro ai bonus cultura e
divertimento, ha speso in una tantum improduttive, in una difficile politica di
rilancio attraverso la domanda.
Veronica
De Romanis, L’austerità fa crescere,
Marsilio pp. 160 € 16
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