L’amico pazzo è
Philip K. Dick, come da sottotitolo della raccolta di articoli, saggi,
discorsi, tavole rotonde, racconti, che Lethem gli dedica, “Io e Philip
K.Dick”. Un omaggio di spessore – con note interessantissime sulla propria
infanzia di Lethem a Brooklyn. Dopo essersi dichiarato in avvertenza “uno dei
maggiori esperti della sua opera”. Riconoscente in fine: “Ho costruito alcuni
dei miei palazzi sulle sue rovine”.
La passione di
una vita, a partire dalla scoperta, a quindici anni: “Una relazione nella quale
avrei investito un immenso patrimonio personale”. E una consacrazione critica a
cui Lethem si è dedicato. Dopo essere emigrato ventenne per incontrare Dick da
Brooklyn alla California. Dapprima come giovanissimo socio di una Philip K.
Dick Society, braccio destro dell’esecutore letterario Paul Williams, poi come
cultore della materia. Fino al ripescaggio dello scrittore, ripulito della
leggenda nera, con la curatela delle opere per la prestigiosa Library of America,
Non ci sono
ricordi personali, Lethem arriva a Berkeley che Dick è morto. Ma c’è molto
degli ambienti dove Dick ha vissuto e lavorato, che Lethem a sua volta ha
voluto vivere. Dei nodi significativi della sua apparentemente convulsa vita. E
della sua capacità di scrittura: “Dick appartiene a una speciale categoria dei
grandi scrittori, quelli della prosa discontinua”, con “Dickens, Dreiser e la
Highsmith”, e Dostoevskij. Perché la fantascienza, lui che debuttò, e
insistette per una diecina di romanzi, sul filone mainstream? “Per soldi e forse anche per soddisfare un’esigenza
insopprimibile del suo inconscio” – “la sua istintiva tendenza verso la satira
della realtà quotidiana”. Ma, poi, “«autore di fantascienza»” divenne per lui
una sorta di identità politica in cui
riconoscersi, così come «tossico bruciato» e «mistico religioso»”.
Un libro per
dickiani. Ma non solo. È una disamina del genere, nonché dell’“opera” di Dick.
E nei cinque suoi propri racconti “dickiani” (di cui uno sullo stesso Dick), esumato dall’abbandono, un
formidabile reperto di “creazione letteraria”, dei procedimenti narrativi, come
s’impiantano e evolvono. Con un’interrogazione anche, efficace, sui cultori
dell’autore, quelli che “fanno” gli autori, ne immortalano l’opera: sorta di
ruminanti, che fagocitano il prediletto e poi lo risputano.
Dick sta sollevando
molta curiosità da qualche anno. Tra gli altri, anche Carrère s’è cimentato con
un ampio libro-evocazione. Lethem va più in là, per impegno e anche per onestà:
dichiara il suo partito preso, e insieme s’industria a separare il grano dal
tanto loglio dickiano. In chiave, curiosamente, dickiana: “lui” avrebbe
approvato, divertito.
Jonathan Lethem,
Crazy Friend, minimum fax pp. 173 €
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