Si
sono persi i comunisti, ciò che ne restava. A Genova, Spezia, Carrara, dopo 72 anni, Pistoia, id.,
Sesto San Giovanni, id., la Stalingrado d’Italia, L'Aquila. Come già a
Roma, e probabilmente anche a Torino. Come da tempo in Toscana, tra Livorno,
Viareggio e Siena. E in Emilia, a cominciare dalla rossa Bologna. Mentre ha vinto a Taranto e Lecce, dove la vecchia base ex Pci è debole.
Lo
“zoccolo duro” si è squagliato nel rifiuto caparbio del voto, questo con
certezza. E in troppi casi col vecchio tanto peggio tanto meglio tradotto in
voti per Grillo – il Cattaneo, che studia i flussi elettorali, evita di
dircelo, ma si può dare per certo: i voti di Grillo vengono più dall’ex Pci che
dall’ex Msi, è questione di numeri.
Il
Pci non cessa di fare male, si potrebbe dire. Ma la sua cancellazione apre
anche una prospettiva diversa per un movimento riformista, quale si proponeva il
Pd di Veltroni, e poi di Renzi. Senza più i rituali e i non possumus, che la
Cgil continua a minacciare.
Dovrebbe
essere però un altro Pd, quello fondato da Veltroni era troppo Pci-dipendente.
Che sappia parlare chiaro. E affrontare i problemi, non minacciare catastrofi.
Come peraltro sta dimostrando questo stesso Pd con le leggi sul lavoro, sul diritto
di famiglia, sul diritto di cittadinanza.
Un
radioso futuro si potrebbe dire si apre per un partito riformista. Ma con una incognita,
grave: dei fondatori del Pd restano in corsa ora come dirigenti politici solo i
Popolari. Che sono democristiani. Nella Dc stavano a disagio, ma la forma
mentis è quella. È l’handicap evidente, tanto più perché non si dice (come quando
il re è nudo), di Renzi.
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