Chiedo a google di cercarmi “Socrate
condannato per magia”, e google mi risponde, perplesso, dopo una pausa, “forse
cercavi: «Socrate condannato per mafia»”. Mafia magia, dunque, a questo punto?
Un
museo multimediale dedicato a Federico II. A Palermo? No, a Jesi. In Sicilia il
Sacro Romano Impero non c’è - c’è mai stato? I Normanni nemmeno, eccetto che
nei somatisimi popolari. Nemmeno multimediali, che non costa nulla. Solo gli
Arabi, da qualche tempo, esistono in Sicilia, da quando gli arabi ricchi si
sono arricchiti.
La mafia non è
una guerra
Non
fa più notizia l’arresto di 116 ‘ndranghetisti. Compreso uno che, dal carcere,
si proclama Stato, “lo Stato sono io” - va il mafioso spaccone, non più quello
che si nega. Per le tv sì: mille o duemila Carabinieri in assetto di guerra,
con infrarossi, nerofumo, red dot, elicotteri, blindati fanno scena. Ma cento
più o cento meno non interessa più nessuno. A torto, forse, ma non del tutto.
Il
blitz è un’azione di guerra - è l’orgoglio del militare. Sicuramente bene
organizzato, probabilmente bene calibrato, ma senza sollievo per nessuno. Il
contrasto alla mafia è – sarebbe, dovrebbe essere - un’azione di polizia, non
bellica. Di prevenzione e punizione costante, immediata.
Il
blitz arriva dopo quanti anni di sopraffazioni? Dieci, venti, trenta? Sia
ognuno degli arrestati colpevole di un
solo reato di mafia, sono 116 reati non puniti. Ma è più probabile che siano
1.160, o 11.600. Si “punisce” tra i tanti una famiglia mafiosa di Sinopoli che
è attiva da almeno mezzo secolo, con danno per centinaia di famiglie e migliaia
di persone, al patrimonio e alla persone – da tempo peraltro sequestrata e
confiscata negli investimenti romani (dopo che avevano liquidato l’attivo in
piazzamenti più sicuri?).
Si
colpiscono i paesi di Platì e San Luca. Famosi ultimamente perché nessuno si
candida più a sindaco. Un rifiuto di cui si fa una lettura sbagliata: sono
tutti mafiosi. No, nessuno si candida perché sa che è inutile. Che il mafioso
farà comunque danni, mentre lo Stato – il prefetto, il questore, il giudice –
eleggerà a bersaglio l’eletto. Per oltre trent’anni, Platì e San Luca hanno
detenuto impuniti il monopolio dei sequestri di persona: un’Anonima Sequestri
di cui tanto si fantasticava, inafferrabile, composta di persone rozze e
ignoranti. Morte le quali è finito il business.
Non
c’è la denuncia? Ma denunciare è inutile, crea solo danni, non avviando l’azione
di polizia puntuale. Il lettore immagina che la denuncia o l’evenienza di un
delitto, come in ogni giallo, sia seguita da un’indagine accanita, fino alla
scoperta dei colpevoli. Non è così: la denuncia va agli atti: subito per la
statistica e a termine, di anni, di decenni, per l’apertura di un’indagine (le
Procure sono intasate….). Per decenni, e tuttora, un mercato internazionale
della cocaina è stato creato e gestito da persone cui a San Luca nessuno
avrebbe dato un soldo di credito, a Milano, a Marbella, in Germania. Luoghi
dove è difficile un blitz?
Il toro è un
bue, indolente
Serapide, il Dio dell’Egitto, quando è
venuta l’ora di inventarlo, dice Ungaretti in una nota de “Il deserto”, il suo
quaderno dell’Egitto nel 1931, “vorrà somigliare all’Osor-Api, all’idea pura, collettiva,
dei tori sacri, degli Api morti nel regno di Osiride, il quale è l’eternità della
morte”. Api è il bue. L’etimologia di Serapide, un culto rapidamente adottato
nel mondo greco-latino, è stata fantasizzata, o come una divinità greca adottata
dall’Egitto, o viceversa. Mentre il “Dio dell’Egitto” era opera di Tolomeo
Soter – detto anche Tolomeo Lagide, o semplicemente Tolomeo - il re-scrittore macedone (367-282 a-C.) che
continuava l’ellenizzazione del mondo intrapresa da Alessandro Magno. Ed era un
composto, l’egittologia lo sa, era l’ellenizzazione, di Osor e Api, le due
divinità egizie: le manifestazioni terrestri di Osiride dopo la sua morte legando
al bue Api. Ungaretti ne sa però di più. Facendone discendere una tipologia,
che spiega molte cose: “Il nuovo idolo
personifica Dioniso, la vita furente, e Zeus l’onnipotente, ma insieme con essi
l’Hades”. Serapide nei musei ha “barba fiorita, labbra carnose che la sanno
lunga, una fronte che pare saggia, e nasconde l’inferno”. È “un Giove beffardo,
un uomo sensuale, un pazzo dei suoi tempi”.
Non
si finisce di trovare accezioni straordinarie alla presenza del toro, così
diffusa, anche se ora solo nella toponomastica, in area magnogreca. Zagreo,
figlio di Persefone e Zeus, è fatto a pezzi dai Titani quando si è trasformato
in toro. Il suo cuore trapiantato da Apollo sul Parnaso darà origine a Dioniso.
È la versione orfica della nascita di Dioniso.
A Delfi veniva venerato in
contrapposizione ad Apollo, il dio della luce - signore dei mesi invernali,
tristi.
Mai
sentito
Va a fuoco – l’ennesimo – una pineta a
Roccammare, presso Castiglione della Pescaia, con mezza Maremma. Roccammare è
anche famosa per le case di vacanza di letterati illustri, Calvino, Fruttero, Citati.
Mille campeggiatori sono stati evacuati. Poche righe.
Incendio il giorno dopo a Ragusa: una
pagina
Due casi di morbillo tra i ricercatori
di Elettronica al Politecnico di Milano. Cinque righe sul “Corriere della
sera”, il giornale di Milano. Due giorni dopo l’accertamento.
Tute le spiagge toscane, coronate da bandiera
blu, dalla Riviera Apuana alla Versilia, al litorale pisano e livornese, compresa
la costa settentrionale dell’isola d’Elba, e la Maremma, sono infestate da materiale schiumoso giallastro. Poche
righe, per dire che si cerca il cargo che va sversando la materia inquinante,
Se
la mafia è più seria dello Stato
Sgarbi, che è stato deputato della
Locride (auspice Franco Corbelli, il milanese difensore della buona giustizia)
e sindaco di Salemi, in zona (ex) Riina, e quindi sa di che parla, ha un corsivo
su “La Nazione” del 30 giugno, nella sua rubrica “Sgarbi vs capre”, che merita
riprodurre:
“La questione è presto detta: la
criminalità è organizzata, la legalità è disorganizzata. Per questo si pensa
che Riina sia pericoloso perché guida un esercito di picciotti; mentre nessun
mafioso teme Ingroia perché, dimettendosi dalla magistratura, ha perso il suo
potere; può solo parlare, non più agire. Lo stesso può dirsi per Giuseppe
Pisano o Rosy Bindi, presidenti impotenti della commissione antimafia. O per
Rosario Crocetta che, campione dell’antimafia, non fa paura a nessuno. Parla.
Anche Riina parla, e minaccia, e maledice. Non può agire. Ma il suo potere
resta attivo e irriducibile. È stato arrestato, destituito, disarmato, separato
dal suo esercito. Non può comunicare con nessuno. Perché è ritenuto pericoloso?
Perché si ha più considerazione della mafia che dello Stato. La mafia è seria,
lo Stato no”.
Il
controllo del territorio
Dal Pantheon a Fontana di Trevi per via
dei Pastini non è, come al solito, una buona idea, la stradina è iperaffollata,
tanto più a giugno, questo giugno, con la canicola. L’amica che rivede Roma
dopo trentacinque anni insiste, e quindi si fa. È peggio che nelle aspettative:
la viuzza è letteralmente ingombra di tavolini che offrono cucina 24 ore, e di
turisti sventurati che ci mangiano, seppure con una certa soddisfazione. Nonché
di venditori ambulanti agli angoli.
Si procede distratti, rassegnati al peggio,
ma attenti alle spalle, per riflesso condizionato. Una moto procede a basso
volume di giri, imperiosa. Vistosa, il genere superbike streetcar. Sorpassa
senza quasi rumore. Cavalcata da due uomini con baffoni, ma questo non è più
singolare. Se non che non è la sola – è zona pedonale ma a Roma ci sono
eccezioni: una segue, altrettanto vistosa, con una ragazza sul sellino. E non è
finita, una terza segue, al minimo, quasi silenziosa, assecondando il moto
ondivago della folla, ma facendosi strada.
È caldo, si guarda e non si guarda, si
vede e non si vede. Finché, sorpresa, all’ingresso infine nella piazza
monumentale, presagio d’aria, all’angolo basso, i baffoni della superbike si
ergono in piedi, massicci. Il guidatore, il capo?, strizza un miniportafogli
sbrecato – lo spreme con dita vigorose più che cercarci dentro. Il possessore,
un asiatico minuto, tratti fanciulleschi come loro hanno, trema sorridendo.
Abbozza un sorriso ma la testa gli trema: un rictus, la paura, un invito alla
benevolenza? Ha un borsone piccolo, e vuoto più che pieno, non si vede di che,
ma non ha fatto in tempo a chiuderlo. Dalla seconda moto la ragazza è scesa dal
sellino, col suo guidatore, e si tiene a distanza, la mano sulla borsa a
tracolla. La terza moto si sta fermando, la mettono sul cavalletto.
È un controllo di polizia, forse dei
carabinieri – si capisce: vanno insieme, ci sono gerarchie. Era sembrata,
effetto dell’afa, della malavoglia, una spedizione punitiva o di controllo, di qualcuno dei padroni del territorio di cui
si legge. Dei famosi Tredicine di cui “Il Messaggero” ci ingombra. Dei
Casamonica, va’ a sapere. Dei camorristi che governano gli ambulanti – questi
ambulanti della copia, del prodotto povero, del folklore asiatico, africano.
Il venditore all’angolo con la Spada
d’Orlando, un africano, era sembrato scambiasse un cenno d’intesa col capo
pattuglia: il tipo kikuyu, stortignaccolo, con molte turiste attaccate alle sue
borse, i kikuyu sono abili commercianti. Il venditore di cappelli all’ansa col
tempio di Adriano, davanti al negozio dei pinocchietti, un asiatico, non si era
nemmeno girato. Il resto del percorso fino alla Fomntana, di là del Corso, sulla
via Muratte, gli ambulanti senegalesi stanno sdraiati all’ombra. Hanno chiuso
teli e borsoni, si riposano. Sono l’altro aspetto del controllo del territorio:
non si salva chi non è parte di una cosca. Riposano con loro dei tipi somali,
che non si saprebbe dire ambulanti – il somalo non lavora: faranno il loro
controllo del territorio.
leuzzi@antiit.eu
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