martedì 11 luglio 2017

Il mondo com'è (309)

astolfo

Aggiotaggio - Fu l’equivalente della finanziarizzazione un secolo fa, con i profitti di guerra e l’economia speculativa che presiedette al dopoguerra, fino al crac del 1929. Il falso boom anche allora cominciò con le materie prime. E con i finanziamenti farlocchi, a cui si convitavano i risparmiatori ingenui col miraggio del grande guadagno.

Capitalismo – La fine si annunciava a periodi sempre più brevi, fino alla caduta del Muro. Poi più nulla – anzi, ci fu chi, Fukuyama et. al., sanzionò l’avvento del capitalismo e la fine della storia. Ora, dopo un venticinquennio Wolfgang Streeck la riannuncia, per suicidio: per overdose. Ripubblicando il saggio del 2014, “How will Capitalism end?” con altre considerazioni in un libro. Streeck è uno della neo “New Left Review” anni 1970, quelli della fine a ripetizione del capitalismo, sulla linea Terza Internazionale-“Manifesto” – questa fine del capitalismo aveva peraltro già tratteggiato nel 2012 in “Tempo guadagnato”. Ma anche senza essere cattivi si potrebbe dire lo stesso: il capitale fa indigestione, potrebbe morire per ingordigia. Come e perché ognuno può vedere.
I bilanci si fanno  troppo in favore di azionisti e manager, il lavoro ha parte sempre più ridotta. Il lavoro non serve più a distribuire il reddito ma, al contrario, ad accumularlo. Restringendo la ricchezza invece di moltiplicarla, o aumentandola al minimo. Limandone o eliminandone gli effetti diffusori. Questo è avvenuto nei due falsi boom che hanno portato alla crisi del 2007: quello delle dot.com o dei Nuovi Mercati, e quello dei mutui sul nulla. E si è aggravato, se si può, nella lenta ripresa di questi anni: i poveri, cioè la massa dei consumatori, si impoveriscono sempre più. Il lavoro, il maggior diffusore del reddito, si vuole precario e sottopagato, anche a costo dell’efficienza o applicazione. La riforma delle riforme di cui i media, forse volenterosi esecutori, si fanno megafono, è la desindacalizzazione totale del lavoro, e anche la delegificazione: il lavoro come una merce qualsiasi, da usare, rifiutare, buttare. Il maggiore redistributore del reddito, e quindi, si penserebbe, l’anima del mercato, avvilito e possibilmente annichilito. Di un mercato non nell’accezione odierna, della singolare legittimazione della speculazione, la prima volta nella storia  - ma questo dell’opinione è un altro capitolo, acritica o surrettiziamente schierata che sia..
Specie negli Usa e in Europa, Germania in testa, le grandi masse del lavoro annaspano, i benefici si concentrano. È un capitalismo che crea povertà, e la diffonde. Ciò porta a un rigetto politico, ma anche a una inevitabile implosione: a chi venderà il capitale le sue merci, le case, che fanno girare i soldi, le macchine, le vacanze?
L’Italia è nella posizione peggiore in Europa, stando ai parametri del capo economista della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, Sergey Guriev, le cui conclusioni Federico Fubini anticipa su “L’Economia”: nei primi cinque anni della recessione, al 2012, il reddito del decile più povero degli italiani si è contratto del 27 per cento, mentre il decile più ricco ha contenuto la caduta al 4 per cento. Ma l’effetto è ben visibile in Gerrmania, mascherato da 7 o 8 milioni di finti redditi da mini-job, a 400 euro al mese, che un sindacato compiacemte avalla come retribuzioni (dimezzano l’indice della disoccupazione). O negli Usa, che negli anni di Obama sono diventati il paese del secondo e terzo lavoro, uno non bastando per sopravvivere.
Bisognava scendere col costo del lavoro e la desindacalizzazione al livello della Cina e dell’India. E ci siamo abbondantemente, in termini di valore del salario, o del suo potere d’acquisto. Ma anche in quei paesi delle grandi masse la produzione viene legata alla produttività, che in qualche misura viene premiata in forma di salario. Né Cina e India sono tutto: sono parte del mercato, e potrebbero non condizionarlo. Se non si volesse. Si fa grande spreco, specie nei media, della globalizzazione come un totem. Inattaccabile, insostituibile. Mentre la verità è che al di fuori dell’Asia comunista e bonaparatista non c’è certezza. L’Africa e il Sud America non la garantiscono. La globalizzazione è il “patto di Tienanmen”: io non mi immischio, voi fatemi guadagnare”. Virtuale ma ben reale: il mercato globale è legato ai regini bonapartisti o comunisti, in Cina e in Vietnam, o in Malesia e in Thailandia. Nonché, senza la frusta, nella stessa composita India, dalle tradizioni insuperabili-  

Capitolazioni – Ricorrono nella storia del colonialismo come sinonimo di sudditanza. Della prevaricazione dei paesi coloniali spinta all’imposizione di un regime legale estraneo, il proprio, ai paesi di cui non avevano il controllo diretto. L’argomento che allora introduceva i tribunali nazionali, o regime delle capitolazioni, era diversa, e non illogica – facendo la tara, se si potesse, del peso politico: erano la protezione del più debole. In questo senso sono state introdotte ultimamente in Gran  Bretagna le giurisprudenze e le procedure speciali, in fatto di diritto di famiglia e di successione, per la “minoranze” etniche, cioè per le comunità che intendono far valere un diritto proprio. Non si tratta in questo caso di capitolazioni, i tribunali etnici non sono introdotti in forma d capitolato, negoziati tra potenze, di cui una più potente, ma di concessione dello Stato sovrano. La sostanza è però quella.
In questo senso argomenta Ungaretti ad Alessandria d’Egitto nel 1931: “Una cinquantina d’anni fa furono fondati i tribunali misti. C’erano qui tribunali misti anche al tempo dei Tolomei. Il tribunale misto è un istituto che modifica in modo generoso il regime delle Capitolazioni. Non si creda che le Capitolazioni siano un sopruso, un istituto imposto dal più forte al più debole. Esse partono invece dal principio della salvaguardia del diritto del più debole, stipulando che l’attore dovrà chiedere giustizia al magistrato del convenuto. I tribunali misti sono chiamati a giudicare nelle liti di diritto civile e commerciale, tra Egiziani e stranieri, e tra stranieri di diversa nazionalità. Fanno parte del tribunale misto giudici egiziani e giudici di tutte le nazioni europee che qui hanno interessi”..

Impero britannico – È opera, si può dire, di Disraeli, il politico romanziere – fu lui nel 1876 a offrire alla regina Vittoria, con apposita legge, il Royal Titles Act, il titolo di Imperatrice delle Indie.. Quando nel 1870, dopo l’inaugurazione del Canale di Suez, il Khedivé indebitato mise in vendita la sua quota della società finanziaria del Canale, e le offrì al suo socio nell’impresa, la Francia, la riposta di Parigi, indebolita da Bismarck, fu negativa. Frederick Greenwood, un giornalista, ne informò il Foreign Office, tenuto da Lord Derby. Lord Derby, in ritiro dalla politica attiva per la salute malferma, esitò. Il primo ministro Disraeli invece no. Il Parlamento era chiuso, e senza il consenso parlamentare non poteva prevelare dal bilancio i quattro milioni di sterline necessari all’acquisto della quota del Khedivé, il 44 per cento..Disraeli coinvolse allora i Rothschild, nella persona di Lionel di Rothschild, che accettò di favorire l’operazione con jun finanziamento ponte. Dieci anni dopo la Gran Bretagna occupava l’Egitto.

Islam- Il radicalismo si vive come una novità, dopo le diffuse omogeneizzazioni dell’islam in tutte le sue espressioni in tutte le aree, in Africa, in Nord Africa, in Medio Oriente, in Asia, in un occidentalismo universale – c’è stata a lungo nella guerra fredda, consegueenza della vittoria sull’Asse, la percezione diffusa, acritica, sia all’Ovest che all’Est, che il cammino della storia fosse uno solo, quello che si instaura con la rivoluzione francese, una sorta di universalismo dei diritti umani e civili. Mentre è una costante della storia. Il colonialismo, anche solo culturale, dell’Occidente no, non è radicato: è un fatto storico, ed è defunto. Il radicalismo è invece connaturato all’islam, nel concetto di guerra santa. Ed è un fatto storico costante, conclamato. Anche nelle forme estreme. I volontari del Califfo erano Assassini al tempo del Vecchio della Montagna, Giannizzeri nell’impero turco,.specializzati nel rapimento di bambini cristiani per convertirli, fanatizzarli e farli giannizzeri a loro volta. La guerra santa è di tutti i santi uomini, non dei capitani di ventura.  

astolfo@antiit.eu 

Nessun commento:

Posta un commento