È il “Quaderno egizianio
1931”, le annotazioni di Ungaretti nei tre mesi estivi che passò in Egitto, vent’anni dopo aver lasciato la natia
Alessandria, a vent’anni. Riorganizzato e pubblicato nel 1959. Un libro di
viaggio di rara intensità, una piccola grande cornucopia per il lettore.
Un taccuino anche
di viaggio, ma soprattutto una “scoperta” dell’Egitto, che ancora resta da fare
– Ungaretti è andato più a fondo e oltre. Viaggiò con gli occhi aperti da
subito, già sul “bastimento di lusso”
Esperia, le cui architetture riporta a Borromini. O dal visto che il
consolato a Roma non può “assolutamente” dare giacché è in festiìvità, il
Bairam islamico – ma da Napoli, forse…. Tra cose viste, testimonianze
affidabili, ricordi, riflessioni, la civiltà egiziana staglia insondabile:
africana, ieratica, mortuaria, duratura – la più duratura. “Nel pugno chiuso,
nel volto assoluto, nella pesantezza della nudità, nel passo deciso dei
Faraoni”. Partendo à rebours
dall’ellenizzazione che Alessandro Magno impose, all’Egitto e al mondo
conosciuto fino all’India, “la prima avventura dell’Occidente”, “il miracolo
dell’ellenismo”. Di cui Alessandria sarà la “caldaia”.
Sa la forza dell’islam.
L’illusorietà della modernizzazione, soprattutto della donna, dell’abbigliamento
femminile. Fa in anticipo sulla storia successiva la differenza tra l’Egiziano
e l’Arabo – e il Copto. Sa già, in dettaglio, le insidie del “mercato” – la speculazione
si diceva aggiotaggio. Affascinante la breve storia degli italiani in Egitto, compresi
il padre e lo zio, quando l’emigrazione si faceva al rovescio. Gli eccentrici fratelli
Thuile, letterati di buona stoffa che anche la francia ha dimenticato. La
libertà già allora schermo dell’oposizione alla modernizzazione, cioè alla
laicizzazione dello Stato.
Giuseppe
Ungaretti, Il deserto
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