Niels cresce figlio
unico di una madre insoddisfatta coi romanzi di avventure. E genio poetico, nel
“disprezzo per gli uomini”, a metà tra O.Wilde e D’Annunzio, non citati, tra l’eccentrico
e il superomismo. Cullato da inclinazioni incestuose. Per la zia giovane
dapprima, bellissima ribelle, che però presto muore, dopo essersi debitamente
sposata. Poi per la regina dei salotti di Copenhagen, non bella e in età ma
discorsiva – che al momento finale sceglie di sposarsi con qualcun altro. Con
la madre intellettuale e romantica passa l’utimo anno di vita di lei, in giro
per l’Europa, e la seppellisce a Clarens, il “paradisiaco Clarens di Julie” -
della Julie di Rousseau. S’innamorerà poi di una cugina, che però sceglie Erik
– e quando si accorge di avere sbagliato e si mette con Niels, mentre Erik muore
in un incidente, decide pdrima dell’irreparabile di scomparire anche lei.
Niels vive amori
interrotti. Compresi gli ultimi. Una tresca a Riva del Garda con una Mme Odéro,
una cantante. Che parte richiamata all’improvviso da un impegno artistico,
quasi dimenticandosene. Passato a viere in campagna la vita prosaica del padre,
esaurita l’accensione estetica e sentimentale della madre, sposerà una moglie
bambina, che però muore.
Erik è l’amico artista,
scultore e poi pittore, col quale il poeta Niels è legatissimo, finché questi
non si disamora della bellissima ragazza che entrambi hanno concupito, e poi
muore in un incidente stradale. Con Erik Niels ha vissuto l’adolescenza, dichiarandosene
geloissimo: “Fin dal primo giorno si era innamorato di Erik che, schivo e
freddo, a stento tollerava, con una riluttanza un po’ sprezzante, di lasciarsi
amare” - ma è solo amicizia, non ci sono pulsioni gay.
Finisce in
fretta, in un brevissimo capitolo. Poche righe – le meglio scritte di tutto il
romanzo - sulla morte che avvelena la vita. Quando la giovanissima moglie Gerda
muore tra i rimpianti - Niels la seguirà per una ferita di guerra
Un romanzo molto
celebrato, e in effetti emblematico, di situazioni – quasi “storico” benché non
ci siano eventi storici. Epocale: Fine Secolo, o fine Ottocento, e Belle Époque.
Si legge Spengler. Si ama l’Italia decadente. I personaggi femminili parlano
(si analizzano) come in Ibsen, o Strindberg. Per una rivolta immensamente
triste, non solo perché disseminata di morti precoci. Il nichilismo si vive coi
denti serrati, come modo d’essere comune e forse necessario ma da eterni giovani,
appassionati. Un “Werthe” è stato detto, atttardato di un secolo. No, tra
“Werther” e le “Affinità elettive”, c’è ancora spirito geometrico, e romanzesco.
Un autore introdotto
in Italia venticinque anni fa da Claudo Magris con un saggio molto acrobatico. Col
Lord Chandos di Hofmmannstahl, l’atomismo di Mach, il “Malte” di Rilke,
Kierkegaard e il giovane Lukáks, e poi giù tutti, Cechov, Katherine Mansfield,
Proust, le onde di V.Woolf, e il Thomas Mann della “solidità
borghese-patrizia”. Niels spiegando come
colui che passa accanto alla vita, molto Oblomov, molto Michelstaedter, e “il
giovane Lukáks” di nuovo, “nel più grande dei suoi libri, «L’anima e le
forme»”, là dove cita Charles-Louis-Philippe. Arrampicandosi lungo una traccia ardua,
per farne il romanzo dell’ateismo.
Mentre è l’opposto: a ogni vicenda è il romanzo del bisogno di Dio - non
della “credenza” ma dell’impossibile ragione, con un forte sentimento della
vita e la morte.
Il teorico dell’ateismo,
il dottor Hjierrild, è conoscenza occasionale di una notte solitaria di Natale
al ristorante – sarà l’angelo della morte di Niels ferito al fronte. Di poche
pagine. Non convince Niels, ma non è convinto, nemmeno lui.
Jens Peter Jacobsen,
Niels Lyhne, Iperborea, pp. 284 €
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