Un racconto
omoerotico. Un racconto di orrore, anche. E la pietra d’inciampo per
un’arringa, nei fatti, senza parole vuote, contro il carcere di redenzione
dell’illusione progressista e contro la pena di morte. La pietra di fondazione
della colpa sociale: il crimine del povero è colpa della società, delle
disuguaglianze, dell’istruzione carente, del disinteresse o incapacità delle
istituzioni – il Parlamento del 1834
faceva e diceva le stesse cose di oggi, scemenze: “Questa testa dell’uomo del
popolo istruitela, non avrete bisogno di tagliarla”, la lezione è semplice.
Victor Hugo
trentenne è giuà personalità e scrittore complessi. Reduce peraltro da quella
sorta di manifesto del romantisicimo che era stata l’introduzione due anni
prima al dramma “Cromwell” in edizione cartacea.
Claude Gueux era
un onest’uomo, con una compagna e una figlia in tenera età, “capace, abile,
intelligente”, che un inverno, rimasto senza lavoro, ruba per sopravvivere. Non
grande cosa: “Non so che cosa rubò né dove”, premette Hugo, “quello che so è
che dal furto ricavò tre giorni di pane e di fuoco per la sua donna e la
bambina, e cinque anni di prigione per l’uomo”. In prigione, perseguitato dal
soprastante ai lavori utili dei carcerati, lo uccide – decide di ucciderlo, col
plauso di tutti gli altri 80 o 81 internati. La condanna a morte è una
formalità. Ma non è così semplice, due anni dopo Hugo produce sulla “Revue de Paris”
questo testo che provoca un mezzo sommovimento – un commerciante di Dunkerque,
Charles Carlier, ne ordina 500 estratti
e incarica l’editore di recapitarli ai deputati.
Claude Gueux è
sì colpevole di avere accoppato il sorvegliante, ma la sua identità è sociale –
che lo stesso nome sottolin ea, gueux
è mendicante in francese. Il Gueux della storia ha tentato il suicidio dopo l’assassinio.
È stato tenuto in vita con mille cure e precauzioni per cinque mesi. Quindi
giudicato in pochi minuti, e ghigliottinato. Una storia peculiare, ma tutte lo
sono. Questa di Victor Hugo s’impose per la polemica contro la prigione
rieducatrice. Cara, dice critico, all’orientamento progressista, il suo proprio
orientamento. E contro la pena di morte. In contemporanea col “Claude Gueux” Hugo
ripubblicava l’“Ultimo giorno di un condannato”, del 1829, il racconto immaginario
di un condannato a morte, con un prefazione horror su alcuni casi di esecuzione
capitale.
Con Gueux è il popolo
che, vanamen te, è tenuto in prigione. È il popolo che è condannato alla
decapitazione, per nessuna ragione sufficiente: “Tutti i paragrafi di questa
storia potrebbero servire da titoli di capitolo di un libro in cui fosse risolto
il grande problema del popolo nel diciannovesimo secolo”.
Un testo che si
direbbe datato, ma di grande lettura. Il torto che Gueux vuole vendicare è la privazione
dell’amico del cuore, che il soprastante allontana, per nessun motivo se non il
suo arbitrio. Il finale evangelico richiama il Tolstòj di fine Ottocento –
anche lui peraltro “svegliato” da un’esecuzione capitale a Parigi, già in
gioventù. C’è in anticipo perfino l’anti-Lumbroso: “Le nazioni hanno il cranio
bene o mal fatto secondo le loro istituzioni. Roma e la Grecia avevano la
fronte alta”.
Il tascabile
francese è annotato e illustrato – da Daumier e da un sorprendete Hugo.
Victor Hugo, Claude Gueux, ebook Faligi € 1,99
Livre de Poche,
pp. 95, ill. € 1,50
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