Una celebrazione
tardiva, e più malioconica che rigenerante, di uno dei più determinati
oppositori di Hitler. Che riuscì a organizzare nel luglio 1944 una congiura e
un attentato che avrebbero liberato la Germania dalle vergogne del nazismo e dalle
distruzioni della guerra, ormai combattuta in terra tedesca.
Malinconica
perché è la prima biografia, in tedesco, di uno storico e politologo tedesco, dell’uomo
che organizzò la più articolata azione di resistenza contro Hitler, e l’avrebbe
anche portata a termine con accuratezza e sagacia, non fosse stato per il caso –
l’altro storico tedesco della Resistenza, e di Stauffenberg, Peter Hofmann, è da
cinquant’anni cittadino canadese. Una biografia peraltro breve, anche se è il
secondo o terzo intervento di Steinbach su Stauffenberg. Pubblicata in Italia dalle
edizioni Dehoniane, in chiave quasi confessionale - gli Stauffenberg sono cattolici.
Molti film sono
stati fatti su Stauffenberg e la sua congiura, ma americani. Il cap. terzo di questo saggio, “L’immagine di
Stauffenberg dopo il 1945” è forse il più interessante, e il più triste. La Germania
non ha il culto della Resistenza: è l’unico paese europeo che non celebra la
fine del nazifascismo. Come se se ne vergognasse, benché abbia avuto il fronte
di fresistenza più ampiio, duraturo, determinato, contro Hitler. Si sa più delle
donne della famiglia. Melitta, la cognata, aviatrice militare, di famiglia
ebraica, dichiarata “meticcia ebrea di primo grado”, nella meticolosa classificazione
germanica – e poi, per la stessa, classificata “ariana pemeriti”, avendo
richeisto il “riconoscimento alla parità della razza”. E “Nina”, la moglie del
conte Claus, l’attentatore, che, imprigionata incinta, diede alla luce in
carcere il quinto figlio, una bambina, fu quindi confinata a Bolzano, e dopo la
guerra liberata.
Una lettura
veloce. Con una tavola cronologica, una bibligrafia scelta, e un’appendice fotografica.
L’attentato non
fu l’avventura di un nobile blasé. Era
organizzato, e molto articolato. La risposta
di Hitler fu altrettanto ramificata dopo
il 20 luglio: settemila arresti e 5.684 esecuzioni, di ufficiali e
gentiluomini. Con molte esecuzioni “esemplari”, a fini dissuasivi: i più furono
impiccati, con
corde di piano, lacci di cuoio, canaponi di mare, filmati da centinaia di troupes,
a ganci da macellaio o ai pali della luce.
La storia vera sarebbe quella dei tanti tedeschi morti contro
Hitler, più che in qualsiasi altro movimento europeo di Resistenza. Prima della
Soluzione Finale i lager furono per
dieci anni pieni di tedeschi. Che però sono trascurati dalla Repubblica
Federale. Per essere stati i più socialisti e comunisti, già antipatrioti e
oggi tabù nella Germania divisa. E liberali. E cristiani. Nella storia
italiana se ne farebbero monumenti. Ma la
colpa collettiva, una forma facile di creazione del Nemico, è stranamente cara
ai tedeschi. Ancora oggi, a democrazia infine accettata, non hanno cuore di
ricordare quei morti, che poi sarebbe un giorno di ferie pagato. La Repubblica
Federale non si dà neppure una festa nazionale, un 20 luglio, una liberazione
qualsiasi. E le pensioni ai nazisti ha sempre liquidato, con qualsiasi governo,
più rapida che alle vedove dei caduti per la Resistenza.
In aggiunta ai
congiurati, oltre cinquemila parenti, vecchi genitori, mogli, figli, furono
internati e più spesso sparirono, per delitto di consanguineità, l’antica norma
tribale del Sippenhaft – tfra questi
“Nina”, la moglie di Claus von Stauffenberg. Ma la Germania se ne
vergogna. Il nobile svevo Claus Schenk von
Stauffenberg, letterato, liberale, è stato ridotto a sciocco colonnello prussiano,
che vile mette la bomba quando Hitler ha perduto, per pulirsi la coscienza.
Come se mettere una bomba a Hitler fosse un gioco. Questo non è stato detto
neppure dei gerarchi che tradirono Mussolini. L’opera di Steinbach è semplice,
ma non scontata.
Peter Steinbach,
L’uomo che voleva uccidere Hitler,
Edb, pp. 144 € 12,50
Nessun commento:
Posta un commento