Bene – È dell’uomo,
forse solo dell’uomo. Il male si definisce in rapporto al bene: come negazione,
trasgressione, violazione. Non c’è uomo malvagio, si è detto, che non abbia
provato la tentazione del bene. No: il malvagio si riconosce – riconosce se
stesso, le sue pulsioni, i suoi crimini - in rapporto alla nozione, per quanto
confusa, del bene.
Coscienza – È la
coscienza del bene? Un giudizio vigile, costante, e in qualche modo assicurato:
sa di che si tratta. Ci sono buone coscienze e cattive coscienze. E cattive
coscienze che si credono buone. Ma allora non cristalline. Non nel senso della
purezza – le tentazioni la impediscono, nel bene e nel male – ma della
certezza, la sicurezza di sé.
È
inevitabile, è la mente, in Descartes e anche prima.
È
“irritazione”, opina Popper nel saggio “Nuvole e orologi” sull’adeguamento dell’evoluzione:
“Forse la sua prima forma è un vago senso di irritazione esperito quando l’organismo
ha un problema da risolvere”. Ma ne fa poi grande caso, al centro del suo
indeterminismo “a interruttore centrale”: “Gli stati di coscienza, o le sequenze
di stati di coscienza, è possibile funzionino come sistemi di controllo, di
eliminazione dell’errore”. Uno “dei molti tipi interagenti di controllo”, ma
quello più propriamente volontario, attivo.
Ne
fa grande elogio Rousseau, nelle “Lettere morali” e nell’“Emilio”. Nel momento,
però, in cui si vuole “solitario” . ripetuti gli elogi della solitudine. Mentre
è chiave sociale per eccellenza: si ha coscienza di sé in rapporto agli altri.
Per questo i minerali non ce l’hanno, e gli animali sì, forse anche i vegetali –
capricciosi ma non del tutto.
Determinismo – Si
penserebbe teistico, determinato dal, o in linea col, Dio onnisciente
onnipotente. Ed è religioso all’origine, prima che “scientifico”, positivista.
Ma poi alcune religioni, o alcuni religiosi, credono nell’indeterminismo, altre-i
nel determinismo. In ambito cristiano è san Paolo e sant’Agostino contro
Liutero e Calvino, la teologia cattolica contro la teologia protestante.
Evoluzionismo – È
tautologico, si è detto, ed è così, la sua filosofia lo è. Non si spiega, ossia
si spiega per come è, che sopravviva “il più adatto” di Spenser, oppure che
sopravviva chi sopravvive.
Filosofia – “È solo eloquenza da geometri?”, si chiede
Ungaretti inviato speciale ad Alessandria d’Egitto, a proposito di Euclide,
“che ha qui scuola chiamato da Sotero”. La prima filosofia nasce in effetti dal
suo disposto logico: “Che dalla forma delle cose resta ormai solo da ricavare
argomenti per fissare la legge dei rapporti”.
È tela di Penelope.? Si e sempre detto, ma da Rousseau con
più lena - argomenti. Non se ne può fare storia dei progressi, delle
acquisizioni? Un repertorio si, intercambiabile. C'è una sola verità accertata
- definita, stabile? Eccetto questa: che il pensiero segna il passo: la ragione
non ha mai saputo andare più in là del colore. Come uno stagno, seppure con
qualche rivolo di affluente, presto prosciugato, e l'increspazione prodotta da
qualche refolo.
“Non sappiamo niente, non vediamo niente”, esordisce Rousseau
nella terza delle “Lettere morali” – applicandosi beninteso a spiegare il
perché e magari a porvi rimedio: “Siamo un gregge di ciechi lanciati all’avventura
in questo vasto universo. Ognuno di noi non scorgendo alcun oggetto si fa di
tutti un’immagine fantastica, che prende in seguito per la regola del vero, e
questa idea non rassomigliando a quella di nessun altro, di questa spaventosa
moltitudine di filosofi la cui lallazione ci confonde non si trovano due soli
che si accordino sul sistema di questo universo che tutti pretendono di
conoscere”.
Incertezza – È il
seno dell’epoca, l’età dell’incertezza. Dell’insignificanza- non del relativismo,
che è già una certezza, un metodo. Della fisica heisebenghiana involgarita, o
del caos, intesa come astensione di fronte alla ricerca. Della retorica
accademica in parallelo, immortale, scuole di scrittura comprese, dominante
sulla significanza – fino al postmoderno e al politicamente corretto. Dell’inespressività
perfino, tra slogan e interiezioni. Dell’immagine prevalente sulla ratio, o discorso. Dell’apparenza sulla
sostanza. Della pubblicità invasiva (linguaggi, pensieri, modi di vita, umori).
Della postpolitica. Dell’unanimismo, anche religioso. Dell’indistinzione fra
ragione e sentimento, logica e pathos. Dell’indistinzione, per buona volontà.
Tutto
ciò confluisce in un assetto identitario che è la negazione dell’identità, di
una possibile individuazione. Anche solo per contribuire all’incertezza.
Morte – Non è poi così
fatale. I batteri non muoiono, che anzi si moltiplicano per scissione. E molte cellule
cancerogene: sono veicoli di morte ma in proprio resistono ai bombardamenti. L’immortalità
sarà batterica?
Politicamente corretto –
Leninista o stalinista, è stato detto. Conservator e e perfino reazionario –
per l’eccesso di regolazione. Foster Wallace lo dice anche insultante, per i
“poveri” a vantaggio dei quali si presenta e viene disposto. E puramente
autocelebrativo, dell’ingegnosa virtù del parlante. È parte dell’insignificanza
– dei linguaggi, le esperienze, il sesso anche, il modo d’essere (nazionalità,
educazione, ambizioni…) – cui si vuole ridurre l’esperienza. Nell’età della’analfabetismo
eletto ad alfabetizzazione di massa: è in questa trasposizione l’ultima
ingiuria.
Teoria – È una finestra sul
mondo, entro il limite dell’orizzonte. La teoria semplifica, il mondo è
complesso. Direbbe Popper, l’epistemologo: “Anche se scoprissimo la teoria vera
del mondo, non potremmo assolutamente sapere – come ben comprese Senofane – di
averla trovata”.
È
espressione (estrinsecazione, dialogo) e controllo di sé (coerenza,
consequenzialità).
zeulig@antiit.eu
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