“Così rimasi di
me stesso solo”. Sarà l’unico lascito di Bramante poeta, aktro non ne resta, la
raccolta è esaustiva. Di tutti, i pochi, scritti di Bramante, recuperati da un
manoscritto “parigino”. Editi da Carlo Vecce con molti riferimenti, che fanno
l’utilità e il diletto della lettura.
Un breve scritto
di architettura, sul tiburio da costruire nel Duomo di Milano. E 25 sonetti,
quasi tutti d’anmore, con pochi caudati di tipo burlesco. Questi
burchielleschi, e tutti purtroppo, una mezza dozzina, su come farsi scucire
qualcosa da Gasparo Visconti per comprarsi le calze nuove. Quelli petrarcheschi:
è incredibile il peso che Petrarca continna
a mantenere nel Cinquecento inoltrato sulla poesia lirica. Vecce ne ritrova
citazioni, riprese e calchi, si può dire, verso per verso: più che professioni
d’amore, questi sonetti sono esercizi retorici.
Bramante, da
Leonardo ricordato col vezzeggiativo “Donnino”, è soprannome. Come di persona
curiosa: inventiv a, applicata. Ma non nella poesia, evidentemente. Bramante,
“sviscerato partigiano di Dante” secondo l’amico Gasparo Visconi, procede per tessere
di Petrarca, come uno che marciasse su terreno o in casa altrui - Visconto lo fa “huom singulare”. Vasari lo
loda molta, anche sotto questo aspetto: “Fu persona molto allegra e piacevole,.
E si dilettò sempre di giovare a’ prossimi suoi… Dilettavasi de la poesia, e
volentieri udiva e diceva in su la lira, e componeva qualche sonetto, se non così
delicato come si usa ora, grave almeno e senza difetti”. Eccetto la noia. Dell’amore
che stava per essere e non fu, del rimpianto, delle lodi della bellezza.
Donato Bramante,
Sonetti e altri scritti, Salerno,
remainders, pp. 121 € 3
Nessun commento:
Posta un commento