domenica 16 luglio 2017

Tutta la poesia l'aveva fatta Petrarca

“Così rimasi di me stesso solo”. Sarà l’unico lascito di Bramante poeta, aktro non ne resta, la raccolta è esaustiva. Di tutti, i pochi, scritti di Bramante, recuperati da un manoscritto “parigino”. Editi da Carlo Vecce con molti riferimenti, che fanno l’utilità e il diletto della lettura.
Un breve scritto di architettura, sul tiburio da costruire nel Duomo di Milano. E 25 sonetti, quasi tutti d’anmore, con pochi caudati di tipo burlesco. Questi burchielleschi, e tutti purtroppo, una mezza dozzina, su come farsi scucire qualcosa da Gasparo Visconti per comprarsi le calze nuove. Quelli petrarcheschi: è incredibile il peso che Petrarca continna  a mantenere nel Cinquecento inoltrato sulla poesia lirica. Vecce ne ritrova citazioni, riprese e calchi, si può dire, verso per verso: più che professioni d’amore, questi sonetti sono esercizi retorici.
Bramante, da Leonardo ricordato col vezzeggiativo “Donnino”, è soprannome. Come di persona curiosa: inventiv a, applicata. Ma non nella poesia, evidentemente. Bramante, “sviscerato partigiano di Dante” secondo l’amico Gasparo Visconi, procede per tessere di Petrarca, come uno che marciasse su terreno o in casa altrui  - Visconto lo fa “huom singulare”. Vasari lo loda molta, anche sotto questo aspetto: “Fu persona molto allegra e piacevole,. E si dilettò sempre di giovare a’ prossimi suoi… Dilettavasi de la poesia, e volentieri udiva e diceva in su la lira, e componeva qualche sonetto, se non così delicato come si usa ora, grave almeno e senza difetti”. Eccetto la noia. Dell’amore che stava per essere e non fu, del rimpianto, delle lodi della bellezza.
Donato Bramante, Sonetti e altri scritti, Salerno, remainders, pp. 121 € 3 

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