In
Sicilia – dove secondo Sciascia succede quello che poi succederà in Italia – la
preparazione delle elezioni è una rincorsa al Dc. Si dice al voto del mafioso
di complemento Cuffaro, “vasa vasa”, ma la corsa è al Dc. Sotto le vecchia
strategia del centro, che le elezioni si vincono al centro. Ma con un solo centro:
di candidati che siano, siano stati, o possano essere, democristiani.
Non
c’è solo l’intesa sorprendente tra Orlando, vecchio pretendente alla leadership
della vecchia Dc, Renzi e Alfano. Anche Berlusconi va su quella linea con Armao.
E pure la destra, con Musumeci: non solo gli ex finiani, Dc di complemento nel
linguaggio di Andreotti, ma anche la Lega di Salvini nel suo tentativo “italiano”.
La
vocazione della Lega è del resto antica: “La Lega non siederà né a destra né a
sinistra”, ci dichiarava Bossi alla vigilia delle elezioni politiche del 1992
che l’avrebbero consacrata (G.Leuzzi-S.Romano, “Elezioni, istruzioni per l’uso”),
“ ma esattamente al posto della Dc”. Non c’è candidato buono se non sa di (ex)
Dc. La cosiddetta Seconda Repubblica, non dichiarata, si chiude con una Restaurazione, non dichiarata ma altrettanto solida.
La
Sicilia evidenzia in realtà un dato di fatto di molte elezioni, comunali e
regionali, e molti governi, Letta, Renzi, Gentiloni. Sotto la guida del presidente
della Repubblica ex comunista Napolitano i primi due, ma tutti con distinte
note di monocolore (ex) Dc.
Si
dicono i partiti morti, ma allora solo quelli di sinistra e quelli laici. Al “centro”,
cioè alla Dc, la politica è viva e come.
Ciò
spiega la disaffezione crescente degli elettori di sinistra e dei moderati laici.
E il successo per altri versi inspiegabile di Grillo e i suoi, un enorme voto
di protesta – sicuramente lo è stato a Roma.
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