Non ha resistito il “prete”
Delrio ad azzannare il “rosso” Minniti.
Benché suo compagno
di partito e di governo – compagno s’intende casuale, di banco. Il business
degli immigrati non deve sfuggire ai “preti”.
Si fa forte il ministro dei Trasporti
del diritto della Navigazoone, con l’obbligo di salvare i naufraghi. Ma non è
scemo: sa bene che i mercant libici di africani “investono” sul codice della
Navigazione, sull’obbligo del salvataggio. Un investimento lucroso, a esborso
zero, al più qualche centinaio di euro per i gommoni, da cui la Libia ricava il
40 per cento del pil.
La Guardia Costiera, che sta agli
ordimi di Delrio, lo sa da molti anni e non avrà mancato di dirglielo. Il
ministro ha anche un ufficio stampa. Che non avrà mancato di segnalargli come
l’Australia ha bloccato tre anni fa analogo investimento in schiavi asiatici.
Salvando quindi in tre anni dai 1.500 ai 3.000 asiatici clandestini che venivano
sacrificati ai pesci – dai 500 ai 1.000 l’anno negli anni precedenti.
Ai “preti” non interessano i morti?
Non si può dire. Nè certo sono con gli schiavisti libici. Ma guai a chi tocca le Ong: il terzo settore è il nuovo
recinto sacro della chiesa cattolica, comprensivo di vittime sacrificali e
tesori - le elargizioni dei fedeli e i contributi dello Stato.
I preti, quelli veri, hanno una
singolare vocazione a fare. Anche bene. Ma con una distinta divaricazione:
fanno bene la cosa loro, privata, male e malissimo la cosa pubblica. In Italia.In
Gerrmania, per esempio, invece no. Forse perché lì si confrontano coi luterani,
e qui non si controllano. Ci vorrebbe un Minniti luterano, anche solo nel senso
di pasolioni, del maestro di scuola – bisogna portare pazienza.
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