Nella seconda
metà del Novecento un fanatsma si è aggirato per l’Europa – e gli Stati Uniti. Un fantasma vero, presente e assente: il situazionismo.
L’imsieme di teorie e precetti elaborati nei primi anni 1960, del boom che
sembra inarrestabile della ricchezza, sintetizzati poi ne precetti “rivoluzionari”:
non consumare, non lavorare, non integrarsi. Un movimento che si segnala per
aver navigato sott’acqua, senza gruppi organizzati né manifestazion in piazza,
anzi ignoto ai pù, e a molti che lo cavalcavano.
Marelli ne fa la
storia. Partendo da Guy Debord, che ne fu l’anima e l’iniziator e. Una
ricostruzione del movimento, e delle sue vicissitudini, seguite attraverso i personaggi
più rappresentativi. Ma con una chiave riduttiva, come se la storia fosse di un
fallimento. Mentre innescò un rivolgimento che definire colossale è forse poco,
si apprezzi o si condanni: quello che verrà chiamao il Sessantotto.
Il fallimento come
setta sì, era inevitablle, Tanto più di una setta senza santoni né
organizzazione. La caratteristica diffusione ciclostata, rudimentale, dischizzi,
disegni, analisi, slogan, s’incontrava a opera di barbuti nelle viuzze del
Vieux Carrè a New Orleans, tra le ragazze in altalena col popò che usciva dalle
finestre per invitare dentro a bere. Roba da mercatino turisco, insomma. Ma il
messaggio è il Sessantotto.
Il Sessantotto è
molte cose, ma è indubbiamente all’origine di una società più aperta e
democratica. Più giusta anche, in quanto ha rinnovato il diritto di famiglia e
di procreazione, e lo status femminile. E molto libera: le menti ne sono state
liberate delle donne non solo, ma anche degli uomini. Tutte cose che si radicano
nello sconosciuto situazionismo. Che si può dire una visione coerente del reale,
se non un innesco del cambiamento. Di successo quindi.
Un successo
tanto più enorme in quanto ottenuto senza truppe né guerre, e senza alleati né
protettori, dichiarati o surrettizi. Per la sola forza delle idee.
Gianfranco
Marelli, L’amara vittoria del
situazionismo, Mimesis, pp. 446 € 26
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