Rivisto alla luce dei nuovi
documenti sull’azione diplomatica svolta a favore di Sacco e Vanzetti (Cannistraro-Tibaldi,
“Mussolini e il caso Sacco e Vanzetti”), il ripetuto negoziato di Mussolini con
Mosca per la liberazione di Gramsci, da subito dopo l’arresto, assume un altro
significato. La liberazione di Gramsci fallì. Era stata infine probabilmente
concordata, spiega Fabre, a tappe, cominciando dal ricovero in clinica, al
Quisisana di Roma, ma un interevento “intempestivo” e “superficiale” del
partito Comunista d’Italia (se non fu voluto, nel Pcd’I di Parigi Gramsci
contava molti avversari) bloccò l’operazione. E il tentatuivo diplomatico a
favore di Sacco e Vanzett non ebbe alcun esito. Ma i due approcci danno alla
diplomazia di Mussolini il senso distinto di una ricerca di rispettabilità. Più
che dell’arroccamento ideologico. Di un dittatore, anche, che si voleva non
dittatore, la sua propria violenza accreditando quasi costretta, imposta dalla
sovversione. Nei casi in cui il nemico politico era in qualche modo legato alle potenze, Washington, Mosca - non, evidentemente con i liberali senza protezione internazionale, come Gobetti, o i Rosselli.
A margine, una riflessione
s’impone: Tibaldo come Fabre, due storici non accademici. Sarà il fai-da-te
anche per la storia?
Giorgio Fabre, Lo
scambio. Come Gramsci non fu liberato, Sellerio, pp. 529, ill. € 24
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