venerdì 4 agosto 2017

La politica della bugia

La bugia non paga. E irrita: il popolo non è stupido, tende anzi a essere furbo. Come i suoi politici, che all’evidenza lo sono meno.
Dopo Berlusconi, un immobiliarista e un venditore, che ancora ancora si poteva capire come fenomeno milanese, vince in America un immobiliarista e fenomeno televisivo da baraccone. I riccastri. E dunque? Dunque, era peggio Clinton, Hillary – bugiarda per costituzione.
È una deriva di  destra, di sinistra? Si è tentati di dire di sinistra, in Francia, in Spagna, con la Clinton. In Italia naturalmente – basta la parola, il Pd. Ma Sarkozy? Cameron e May?
È impressionante l’insensibilità di Renzi dopo il referendum. La sua dipendenza da Berlusconi, che evidentemte lo disprezza e lo mette regolarmente nel sacco, a Roma, a Torino e col referendum (sulla propria riforma che Berlusconi era “sceso in campo”, con “grave sacrificio”, suo, della famiglia, dell’azienda, per realizzare, etc. etc.). Impressionanti le catastrofi che assomma. La metà del partito che lo lascia. Un governo solido di Roma buttato giù per affidare la capitale a Matteo Orfini. A Orfini. Orfini presidente del Pd… Forse perché si chiama Matteo.
Da qui il voto del disprezzo più che di rivolta. Del rifiuto: si vota di più con l’astensione. E viene fuori uno come Trump, incapace, fuori dell’immobiliare, e nocivo. Che gestisce la più grande potenza del mondo senza un solo collaboratore esperto e fidato. Un improvvisatore in politica. Dentro la quale si aggira come un orso che uscendo dal letargo si trova alla Casa Bianca. 
L’analogo di Berlusconi, senza la vaselina del milanese: due venditori di fumo - Berlusconi aveva più ville, portava i suoi a fare jogging perfino ai Caraibi. O Grillo, il cui mestiere è il comico. Per non dire della fantapolitica digitale della Casaleggio, una presa per i fondelli talmente incredibile da rasentare il miracolo - le primarie online, roba da call center, da televoto Rai, da scemi.
Ma più che dei politici, di destra o di sinistra, il buco è dei media. Che più la politica è insulsa più inneggiano. Anzi, in un senso costringono la politica a essere insulsa,  a “rinnovarsi”. Nell’economia del talk-show studiata per gli intervalli obbligatori della pubblicità: le cinque-sei batture pronte – limate, ripetute allo specchio. Che sul “Corriere della sera” o “la Repubblica” diventano interminabili sceneggiate. Dell’onorevole Bocchino nella passata legislatura (un portaborse di Romeo, l’imprenditore degli appalti pubblici), di un onorevole Di Maio in questa. Entrambi napoletani forse non a caso, per la loquela sciolta sul nulla.
Si dice populismo ma è la politica della franca bugia, dichiarata, dell’irrilevante. Sulla quale, chissà perché, i media che tanto ci perdono puntano.

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