190 anni il mese scorso della nascita, fra
poco due secoli, e un mito sempre verde. Di patriota e repubblicano, e di eroe dei
due mondi, ma sarebbe mglio dire dell’umanità. Costruttore anche, a tempo perso,
fermo, realizzativo. Dumas ne ha trascritto le memorie autografe, che Garibaldi
gli ha fatto consegnare a Genova, da dove era appena partito per la Sicilia la
notte tra il 5 il 6 maggio 1860, dall’“ilustre storico Vecchi”, per la parte
fino al 1848, all’impegno per la repubblica e l’unità dell’Italia, dapprima con
Pio IX, poi con Carlo Alberto, poi contro. La parte successiva, sulle vicende
della Repubblica Romana, Dumas ha rielaborato, dice, “con l’aiuto del bravo
colonnello Medici”, ma anche di Vecchi, lo storico della Repubblica Romana, di Emilio Dandole, e altri.
Le vicende del Rio Grande e
La Plata prendono di più l’interessi di Garibaldi e di Dumas – dieci anni prima
giù autore di un romanzo sulle vicende dell’Uruguay, “Montévideo ou la nouvelle
Troie”. Dettagliate minutamente, ma illeggibili senza una cognizione minuta dei
luoghi. La Repubblica Romana ha più senso politico, O forse è soltanto una tela
di fondo più nota, che ne favorisce la lettura.
Per dieci anni, da quando ne
aveva sedici, Garibaldi naviga il Mediteraneo propriamengte detto, travalicando spesso nell’Egeo, il Bosforo e il
Mar Nero, principalmente a Odessa. Anche su navi russe – la sua prima, a sedici
anni. Luoghi dove trovava repubblicani come lui: prima e dopo il 1830: molti si
eran rifugiati nell’impero ottomano, dove le carbonerie erano ugualmemte attive..
In no dei viaggi fu indottrinato nel saintsimonismo da un Émile Barrault, il cu
insegnamento Garibaldi più volte evocherà: dell “uomo che, facendosi cosmpolita,
adotta l’umanità come patria”. Un socialismo non scentifico ma robusto. Nei successivi
quindici anni, di guerra di corsa e di guerriglia, oltre che campale, in un Sud
America dove era regola ilsaccheggio, Garibaldi perderà molte battaglie, e tutte
quelle politiche per dabbenaggibe, e di più ne vincerà, ma non gli si imputa un
solo atto di vilenza.
Nel 1835, a 28 anni, ricercato
dal regno di Sardegna per i moti dilettanteschi del 1833, s’imbarca per le Americhe.
Dove farà periodicamente piccoli mesrieri, come tutti gli emkigrati, per viver
e: sensale, istitutore (di matenatica), negoziante al dettaglio, eccetera. Ma
sempre in veste di combattente. Dal 1837
si battterà per la repubblica Riogradense, poi Rio Grande do Sul, secessionista
dall’impero del Brasile, la repubblica di Rio de Janeiro. Per conto della quale
fa la guerra di corsa, con piccoli legni. Sempre destreggiandosi, tra vittorie e
sconfitte, una volta ferito quasi mortalmente, di uscirne indenne, più spesso
coi suoi compagni di ventura italiani - migliori patrioti di lui, ha cura di sottolineare
ogni volta. Fino al 1840, con alterne fortune, ma lui personalmete sempre da “vincitore”,
di fatto o di fama, specie agli occhi del nemico, sottolinea anche in questgo
caso ogni volta.
Nel 1840, sconfitta la Repubblica
riogradense, passò a Montevideo. Di cui sosterrà, con la Legione Italiana, a tratti
in funzione di leader, sia della marina che della fanteria, la difesa contro le
mire annessioste del dittatore argentino Rosas – meritandsi la targa e il faro
del Gianicolo a Roma, di cui nessuno che si avventuri per quella passeggiata sa
ora più nulla. Ottimamente servito da “cinquemila negri affrancati, eccellenti
soldati”. Ha conosciuto Anita e l’ha sposata con rito religioso (onora l’Altissimo,
odia i preti – sarà venefrabile di un rito amssone), ne ha avuto figli, Menotti
in memoria di Ciro Menotti, se la ritrova
accanto in battaglia. A gennaio 1848, quasi persagisse gli imminenti sviluppi,
partì con la famiglia e alcuni patrioti italiani verso Nizza e l’Italia.
Il racconto di un mito già in
vita. Giovanilistico, come si scriverebbe oggi. Con poche sorprese, però. Se
non la quasi assenza di Mazzini. E dell’anticlericalismo. E il vanto ribadito,
meritato, di essere “miglior nuotatore”, sin da ragazzo.
Alexandre Dumas, Garibaldi, Newton Compton, pp. 185 €
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