Consapevolezza – Federico
Faggin, il fisico, la dice di necessità “primaria” – a Martina Pennisi, “Corriere della sera” di domenica: “Una
proprietà della natura che esiste fin dall’inizio. Una qualità fondamentale
fuori dalla materia come la conosciamo oggi”. Una proprietà evidentemente della
vita animale: “Se l’aspetto cognitivo non viene considerato come punto di
partenza si potrebbe concludere che viviamo in un universo senza significato”.
Un fondamento creazionista formidabile. Ma basato su un punto fermo: per un
fisico l’insignificanza è un macigno.
Leggere – Si può leggere
molto, molto di più che in qualsiasi altra epoca storica, benché il tempo si
sia rappreso – sfugga, evapori, per l’incombere incessante dell’innovazione e
del mercato (niente dura più di pochi giorni, dal cellulare a windows. Molto è
fruibile di tute le letterature, che non molti anni fa sarebbe rimasto
sconosciuto. Anche al’istante, tutto si vuole subito, nell’immediatezza, la
produzione, l’offerta e il consumo. E tuttavia c’è il senso di un immenso
spreco. Di tempo e di energie. Forte se uno ha il gusto del classico, che gli
impone di “situare” la lettura, su una scala inevitabilmente comparativa. Ma sensibile anche per chi vive l’attualità,
e la stessa tendenza corrente alla trasformazione in continuo, di sensibilità e
interessi, e degli stessi linguaggi, non solo i gerghi. Di letture cioè che,
appena finite, e non dopo dieci o venti anni,
sono niente, tempo sprecato. Dove si mette Benn? Celan è un buon minore.
E questa è tutta la consolazione.
Male – È persistente,
cumulativo? Lo dice il Marco Antonio di Shakespeare, “Giulio Cesare”, 3,2: “Il
male che gli uomini fanno vive dopo di essi. Il bene spesso resta interrato con
le loro ossa”. Nella storia bene e male vanno in parallelo, come conseguenze
delle azioni umane. Ma è vero che il male si accumula, persistente e in certo
senso indistruttibile: le carceri si allargano, in proporzione alla
popolazione, i delitti si accrescono, gli armamenti si ingigantiscono, senza
ritorno o distruzione possibile, le malattie proliferano. il bene deve
rinnovarsi costantemente.
Morte – È stata
eroica, romantica, fascista. Si eulogizza ora nella morte misericordiosa – che
però fu anche di Hitler, ed è, non dichiarata, di molta eugenetica, nei paesi
scandinavi e nella stessa Germania – si dà ora ai vecchi come al tempo del riso
sardonico di Propp. Ma più che mai si vive come una sconfitta, non un fatto
naturale. Dagli stessi sogni progressisti che muovono l’eutanasia. Si vuole
infatti totale, assoluta. Nient’altro essendoci a parte il corpo che decade e
muore.
È
stata rivoluzionaria. Fu la Rivoluzione che, dando a ogni popolo il suo Dio,
come Sciatov dice a Stavroghin, gli diede la segheria. La tecnica e l’economia
di dare la morte a ognuno nel nome della Ragione, il proprio dio, in cui la
Rivoluzione eccelse.
Di
Omero è stato detto che al suo Ulisse fa
fare in realtà un viaggio nella morte. Nove volte Ulisse avrebbe incontrato la
morte. Però in forma di donna.
Nel concetto di massa è il germe di una
democrazia della morte: è pensiero di Jünger.
Manzoni
la storia dice guerra illustre contro la morte.
Il giudizio universale, il paradiso,
l’inferno, e l’anima immortale che rende buona la morte, tutto è già in Assioco
- chi era Assioco?
O il problema è la morte della morte. Per
nessun motivo specifico, sia pure triviale, l’età, la malattia, il numero, l’atomica,
la camera a gas - non tutti gli ebrei finirono nei campi, la maggior parte sì,
ma perché non erano ricchi o protetti: la banalità non esaurisce la tristezza,
che ha riserve incommensurabili. “Lo
scopo di tutta la vita è la morte”, e “il non essere esisteva prima dell’essere”
sono di Freud, e non poteva non essere, della cultura del lutto.
Filosoficamente invece l’essere, la vita, esiste prima dell’esser-ci, e esiste
dopo la morte. È in questo senso che va inteso Erasmo: “L’uomo è più grande
dell’uomo”.
Lo stesso Freud dice giusto per una volta:
“Ogni essere vivente muore necessariamente per cause interne”. Per un credente
però niente cambia: la morte della morte è la fine del progresso – il tempo, la
storia - e di ogni altro significato della vita fuori della vita.
Odio – È senza limiti per essere tribale e rivoluzionario, per il resto se
ne può fare a meno
Progresso – Fu la
prigione, la pena detentiva in isolamento. Un riferimento importante, benché
sottovalutato da Foucault, che il progressista Victor Hugo evidenzia in apertura
dell’arringa contro la pena di morte e il carcere, “Claude Gueux”, 1832.
Teatro, nel caso specifico, una prigione ricavata da un’abbazia, quella celebre
dei benedettini di san Bernardo a Chiaravalle, “abbazia di cui si è fatto una
bastiglia, celletta di cui si è fatto un ripostiglio, altare di cui si è fatto
una berlina… Quando parliamo di
progresso, è così che certe persone lo comprendono e lo realizzano.”
Sogno – Quello a occhi
aperti è un disegno di vita – rinnova la vita, ne è ricostituente. Quando
induce tedio o paura sarà la depressione in agguato.
Stupidità – Si definisce
come mancanza d’intelligenza. Ma la forma sua più diffusa e coriacea –
imbattibile – è di chi si ritiene superiore, per condizione e capacità, di
tutto sapendo meglio di tutti. E specie nelle evenienze ingovernabili,
malattia, calamità, crac.
Sviluppo – Monsignor
Galantino lo riporta all’etimologia: è un dispiegamento, il contrario di
viluppo.. Come spiega meglio la parola inglese e francese, col de- più
indicativo della “s” avversativa, contrazione di “dis-”, e con un senso
positivo dell’azione. Ma più delle libertà “reali” evidentemente, economiche.
Delle risorse. Materiali e immateriali – l’istruzione, i diritti di difesa, i
diritti di libertà. Finanziarie – che hanno una grana antica e una sintassi
propria, e un’economia specifica. Politiche. E ora, si ritiene, anche di
opportunità.
Il
segretario dei vescovi italiani lo lega, facendosi forte di Albert Einstein,
allo sviluppo della individualità, o meglio alla moltiplicazione dele
individualità – le “personalità creative” del padre della relatività generale.
Ma è proprio di regimi bonapartisti, e meglio ancora dittatoriali: l’Italia di
Mussolini, la Germania di Hitler, la Russia di Stalin, la Cina odierna. Che lo
sviluppo possono “programmare”, riducendo gli sprechi, e “accentrare”, per
facilitarne la condivisione. Lo sviluppo dall’alto, l’accumulazione per lo sviluppo.
zeulig@antiit.eu
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