martedì 19 settembre 2017

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (339)

Giuseppe Leuzzi


“La lingua”, raccomanda Čechov in una della sue “Umoresche”, analizzando l’“organico anatomico”, bisogna diffidarne: “Secondo Cicerone è hostis hominum et amicus diaboli feminarumque (nemica dell’uomo e amica del diavolo e delle donne). Da quando le delazioni hanno cominciato a essere scritte sulla carta, è stata esclusa dall’organico. Presso le donne e le serpi funge da organo di piacevole passatempo. La lingua migliore è quella lessa”.

Muore di 107 anni a Brancaleone, il suo paese, Luce De Angelis, la prima donna eletta, nel 1952, a un consiglio provinciale, a Reggio Calabria - la terza in Italia a una carica elettiva (il voto alle donne, attivo e passivo, era recente). Avrà avuto, signorina, commercio oculare con Pavese, ai di lei vent’anni confinato a Brancaleone, ma non ne abbiamo notizia. Luce, una vita maestra elementare, non se ne è curata, la politica fu l’accensione di un momento, a fine consiliatura tornò al suo lavoro.
Figlia del fondatore del socialismo in Calabria, il medico condotto Vincenzo, era stata sostenuta nella campagna elettorale del 1952 da Giacomo Brodolini, il futuro ministro, inviato da Roma.

La rivolta
San Benedetto Ullano, un piccolo comune arberësh vicino Cosenza, ha una via dei Rodotà ma non una Agesilao Milano. Che è il suo cittadino più noto, anche se di nome poco arberësh. E meriterebbe, per più di un aspetto.
Benché figlio di un sarto carbonaro, incarcerato dopo i moti del 1830, Agesilao poté fare studi regolari. Dapprima con uno zio sacerdote, Domenico, poi nel collegio di San Demetrio Corone a Cosenza, un seminario, di rito greco-albanese.
Diciassettenne, era già nell’esercito borbonico, per aiutare la famiglia. Ma durò appena un anno: il diciottenne Agesilao fece i moti del 1848, fu arrestato, e fu condannato al carcere duro. Amnistiato dal re “Bomba” Ferdinando II nel 1852, non smise l’ostilità verso la corona. Ebbe una crisi religiosa e pensò di farsi prete, sempre per aiutare la famiglia. Ma col rovello della libertà repubblicana. Fu arrestato di nuovo, nel 1852, durante la visita di Ferdinando II a Cosenza, con l’accusa di un complotto per uccidere il re, ma fu assolto.
L’accusa gli diede però l’idea di uccidere il re veramente. Quando il fratello Antonio fu sorteggiato per la leva militare, chiese e ottenne di sostituirsi a lui. Riuscì anche a farsi arruolare in un Battaglione Cacciatori, il terzo, che spesso era di servizio al seguito del re.
L’occasione gli si presentò dopo pochi mesi. L’8 dicembre 1856, Agesilao aveva 26 anni, il re, i suoi familiari e la corte festeggiarono l’Immacolata a Napoli con la messa. Dopodiché si trasferirono al Campo di Marte di Capodichino, per presiedere a una sfilata militare. Quando il suo reparto passò davanti al re a cavallo, Agesilao si lanciò per ucciderlo. Riuscì a colpirlo con un colpo di baionetta, attutito dalla fondina delle pistole regali appese alla sella, fu abbattuto col cavallo dal capo degli ussari che scortavano il re, fu torturato per sapere chi erano i complici del suo complotto, e subito poi impiccato.
Si difese dichiarando di non avere motivi personali di vendetta contro il re ma di aver voluto difendere la libertà e la giustizia. Il re aveva festeggiato lo scampato pericolo la sera stessa dell’attentato con una grande manifestazione di popolo.
Milano aveva dimenticato di caricare il fucile per l’attentato. Come suo bagaglio in caserma furono trovati una Bibbia in greco, il “De Regimine Principum” di san Tommaso d’Aquino, e alcune poesie di suo conio. Dopo l’attentato, la repressione si fece più dura. Specie in Calabria.
La vicenda è paradigmatica di un modo d’essere. Ed emblematica del Sud. Insofferente più che passivo. E coraggioso. Ma velleitario - superficiale, improduttivo -e incapace: non si conoscono rivolte a buon fine al Sud. Quando non sono dannose.  

Lo Stato doccupazione
“Questo è un territorio nel quale non si possono avere rapporti con altre persone… Prima giocavo a tennis, oggi non lo posso più fare”. Oggi, cioè da quando è Procuratore Capo a Reggio Calabria. Federico Cafiero de Raho è tassativo, intervistato da Tg2000, il telegiornale di Tv2000, la rete dei vescovi. In Calabria “bisogna vivere sempre da soli”, ribadisce: “Non si ha mai la certezza di parlare con l’antimafia, o con persone che hanno preso una posizione ferma contro la ‘ndrangheta…. Quello che caratterizza la ‘ndrangheta è la sua capacità di confusione, d’infiltrazione e inquinamento”.
Non è una novità, lo Stato si è sempre presentato al Sud come a un assedio. Contro il Sud, non contro i cattivi. Certo non per meglio individuare i cattivi, che al contrario possono imperare liberamente tra i buoni: la prima cosa che un calabrese deve fare, quando presenta una denuncia per estorsione o altra pratica mafiosa, è provare che non è uno ‘ndranghetista, Cafero De Raho non innova.
Non è probabilmente nemmeno malumore. Il Procuratore della Repubblica è napoletano, quindi in Calabria è in esilio. Ma ha voluto lui Reggio, per fare carriera – il suo predecessore Pignatone, altro esiliato, lui da Palermo, ne ha fatto il predellino per Roma, con la Mafia Capitale, e ora sventa i complotti politici dei Carabinieri. E, dice, non si sente solo: “Non mi sento solo. Nell’ambito delle istituzioni i vertici sono rappresentati da uomini di altissimo spessore etico e d una straordinaria professionalità: il Prefetto, il Comandante provinciale dei Carabinieri, il Questore, il Comandante della Guardia di Finanza”. Non uno di Reggio. E, evidentemente, non tennisti.
Non è il solo, volendo restare in tema. I Carabinieri da tempo hanno mura alte e inferriate alle caserme, per segnare il confine col territorio. Non vanno più al bar e non parlano mai con nessuno. Sono gli ultimi ad arrivare a ogni fatto criminoso - ammesso che si produca in orario di servizio. Di cui si limitano a tenere la contabilità.
Il territorio denuncia, dice ancora il Procuratore Capo: “Le vittime di estorsione a volte denunciano. E questo è un passo enorme se si tiene conto che la ‘ndrangheta controlla tutto”. Crede alla storiella che “anche per pitturare una parete è necessario chiamare l’impresa che è autorizzata a lavorare in quell’edificio” – autorizzata dalla ‘ndrangheta. Avallando purtroppo la vecchia teoria che il crimine è stupido. Ma ribadisce. “Oggi ci sono cittadini che credono che questo sistema criminale può essere cambiato e che l’azione dello Stato è costante, seria e forte. Alcune persone si presentano spontaneamente per riferire di estorsioni subìte”.
Si presentavano sicuramente anche ieri. Solo che si presentano a chi, e per fare che? Un estorsore è mai stato intercettato, al telefono, ambientalmente, arrestato, condannato?

Napoli
“Una città che ha un grande bisogno di amare”, la dice Aurelio De Laurentiis. Chi? I vicini no, dagli abruzzesi ai siciliani, che Napoli ha sempre bistrattato – e infatti se ne guardano, bellicosi. I milanesi sì, anche i londinesi, e gli americani tutti.
È a disagio coi vicini. Che però molto (del disagio) lo devono proprio a Napoli.

“Autolesionista, incapace di vedere la verità”, la dice ancora De Laurentiis parlando con Cazzullo sul “Corriere della sera”. E questo sembra più vero.

Ma poi De Laurentiis la vuole “sottomessa da secoli, sempre alla ricerca di un riscatto legato a qualcosa di impossibile”. Mentre sarebbe possibilissimo, la città ne ha i mezzi e le capacità. Ma le piace compiangersi.

Era presidiata dai Bavaresi, al tempo della unificazione. Un manifesto insurrezionale lo ricorda involontariamente: “Napoletani! È troppo tempo che si grida per le vostre strade Werda? E che voi rispondente Schiavi!”. Wer da, chi è la?

Bastò la “sensibilità” a Garibaldi per conquistare Napoli nel 1860, spiega Dumas ne “I garibaldini”, senza sparare un colpo. Gli bastò mandare in porto “un bastimento parlamentare, con cento soldati e trenta ufficiali prigionieri” e fu fatta, “con la sua stupenda sensibilità Garibaldi capiva bene quale effetto avevano sui napoletani quelle prove visibili della disfatta dei regi”.

“La domenica, a Napoli, non succede mai niente”, spiega Liborio Romano a Dumas mentre il dominio secolare dei Borboni crolla: c’è sempre qualche santo o madonna da celebrare. C’era, dopo Maradona c’è la partita: santo Maradona?

“Dovete ammettere che è un ben strano paese quello in cui i cospiratori fanno arrestare le spie che li sorvegliano”, conclude Dumas l’esperienza de “I Garibaldini” a Napoli, pur dopo tante sorprese in poche settimane. Ma succede ancora: ci sono pentiti che inguaiano liberamente chi li persegue,  giudici o sbirri che siano. A Napoli si può, nulla è detto.

Prima e dopo Napoli Autogrill sull’autostrada non quadrava i conti. Era organizzata bene, poco personale, molto esperto, i camerieri napoletani hanno cento occhi e mille braccia, e clientela sempre numerosa in tutte le stagioni. Ma senza soddisfazioni. Poi la gestione del ristoro alle stazioni di servizio è passata locale, e fiorisce. Da Angioina Est sulla Caserta-Nola-Salerno a San Vittore, sulla Napoli-Roma, le province di Napoli e Caserta.


Si contendono il Movimento 5 Stelle e l’eredità di Grillo due giovanotti napoletani, Di Maio e Fico. Napoletani anche nel tratto: pieni di sé e disinvolti. Il fondatore Grillo è genovese, ma è un comico anche lui, un attore. Si può dire Napoli al comando, è tutti noi.

leuzzi@antiit.eu

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