lunedì 18 settembre 2017

Ecco chi ha votato Trump

Finalmente uno studioso che va oltre l’invettiva, per dirci come mai Trump. È uno studioso non americano, e non per caso.Trump è protagonista da almeno un anno e mezzo, dalle primarie repubblicane, ma non c’è nella pur prolifica e tempestivissima editoria Usa una sola spiegazione del suo successo: Trump è il “lato oscuro” degli Stati Uniti. “Storia del lato oscuro degli Stati Uniti” è il sottotitolo di Teodori, che però lo chiarisce. Oscuro nel senso che è stato una sorpresa elettorale. E che lui stesso non sa che cosa fare. Ma non nel senso che viene dal nulla.
Teodori individua quattro radicamenti. Il primo è il nativismo o suprematismo bianco, ed è la difficoltà di superare la guerra civile. Soprattutto al Sud, dove in molti stati i bianchi sono anche poveri. Che ha avuto varie espressioni nella normativa sull’immigrazione, con ripetuti paletti contro gli asiatici, e contro i latini-cattolici. Sconfinando, andrebbe ricordato,  nell’eugenetica. Che negli Usa era ed è forte, benché sotterranea.
Le riserve oggi si concentrato sui latino-americani – il famoso muro. I latinos demografiamente (matematicamente) sono destinati a essere presto maggioranza negli Usa, ma sono i più restii ad assimilarsi al modo di vita americano.
La radice populista è la più nota. Altro residuo della guerra civile. Col Mid-West in questo caso l fronte, contro il suprematismo wasp del New England, della banca e la finanza. Ha una storia più che secolare. Oggi è rinvigorito contro la tecnologia e la globalizzazione, che portano delocalizzazione e bassi salari.
Questo andrebbe messo in rilievo: l’America di Obama vanta un tasso di occupazione record, quasi la piena occupazione, ma la sopravvivenza è per una larga fascia della popolazione legata a due e tre occupazioni nella stessa giornata. Una subodinata di questa sorta di anticapitalismo è probabilmente - Teodori non vi accenna - che Trump, biondissimo e mezzo tedesco, è visto come uno non-di-finanza. Benché lo sia, e sia solo quello.
Altro radicamento è l’isolazionismo. Del genere però imperialista – protezionista ma imperialista. Teodori evoca l’“America First” degli anni 1930, il movimento che per poco non portò alla presidenza nel 1940, invece di confermare F.D.Roosevelt, un candidate che avrebbe tenuto gli Usa fuori dalla guera contro Hiter. Gli isolazionisti persero perché il candidate era debole, benché sostenuto da Charles Lindbergh e dall’America Fist committee dell’università di Yale. Ma il Mid-West, anche allora, va notato, lo votò compatto.
Non manca,  quarto pilastro oscuro, una radice autoritaria. In personaggi di rilievo: Lindberg, Henry Ford, Huey Long, lo spaccone dell'Alabama, McCarty,  Edgar Hoover - e MacArthur? Ma non si può parlare di tradizione in questo senso.
Trump però, c’è da aggiungere per ultimo, non è niente di questo, dell’“altra America” che lo ha votato. È un uomo di denari. Metropolitano. Di interessi internazionali. Rispettoso della supremazia militare americana. Per nulla tradizionalista. La parte più ambigua della sua presidenza è la meno ambigua: non ha nessuna esperienza politica, e non la ama – è un imprenditore e non un manager, riconosce un limite quando lo vede, gli si impone.
Teodori non manca di sottolineare quello che era chiaro, comunque, fin dall’inizio, dal voto a sorpresa di un impolitico alla Casa Bianca. Gli Usa non sono una repubblica delle banana, che il dittatore modella a suo uzzo. Sono uno Stato strutturato, con una costituzione fortissima e radicatissima, e un rispetto della legalità perfino eccessivo – avvocatesco. Con un’articolazione strutturata e ardicata tra Stato federale e stati dell’unione. E uno statuto dei  diritti, il Bill of Rights, che è l’aspetto caratterizzante della personalità americana, l’oscuro manovale del Nebraska compreso, di quelli che non sopportano Trump e di quelli che lo hanno votato.
Massimo Teodori, Ossessioni americane, Marsilio, pp. 159 € 15


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