“La Germania mi ha
immensamente arricchito. Una parte dela mia vita e una parte di me stesso”.
Figlio di germanisti. Che si
erano incohtrati studiando il tedesco. Ogni anno vacanze in Germania, da
bambino, da adolescente e da adulto. Con una coda, ogni anno, nella Svizzera
tedesca – “Zurigo è la mia cttà”. Vacanze nelle quali la sola lingua ammessa
era il tedesco, e guai a sbagliare un genere o una concordanza.
Tournier ha visto anche
“tutto Hiler”, dall’inizio. Ma non vede niente che non possa andare in un
matrimonio felice tra Francia e Germania, anzi in un’immedesimazione – la
promozione dell’“asse” renano a unità che promuove oggi Macron hanno
evindetemente radici, almeno in Fracia. Le annotazioni di amore per la Germania
che aveva raccolto nel 2006 le ha volute rivedere e accrescere, per una testimonianza
di affetto che era diventata da ultimo ossessiva, testimoniano gli ultimo suoi
visitatori, poco prima di morire un anno fa, a 92 anni.
Un amore naturalmente
complicato. È noto da altre testimonianze che il padre dello scrittore, il
germanista inflessibile, non disse più una parola di tedesco dopo la guera. E nel 1940, ai tedeschi che
avevano occupato la casa di famiglia, non rivolse mai la parola. Questo però
non ha impedito al figlio di fare quattro anni di filosofia a Tubinga, dal
1947. Con Claude Lanzmann, e per qualche tempo Deleuze. A Tubinga si poteva
anche incontrare Fabian von Schlabrendorff, uno dei congiurati del 20 liglio
1944 contro Hitler, salvato dalla forca da una bomba che distrusse il tribunale
che lo stava condannando, lasciandolo unico sopravvissuto. Ma per Tournier è
solo un portafortuna, una sorta di gobbetto.
La memoria è tutta su questo
genere, tra il simpatico e il frivolo. Con l’elogio della ricostruzione. Le
donne spazzine delle città in rovina, per fare spazio alle nuove costruzioni. I
libri RoRoRo – libri-giornale era la sola maniera di avere la carta razionata. E
un’altra storia, Un altro Bismarck, molto simpatico. Un’altra Prussia,
nient’afatto militarista. E molta simpatia per la Germania Est, dove lo
scrittore è stato annualmente ospite. Per Markus Wolff, il capo della Stasi, polizia
politica e spionaggio. Per la atlete russe campionesse mondiali, di cui
testimonia e vanta la femminilità, malgrado il doping di Stato.
E Francia e Germania? Nessun
duello. È come è stato nel peridodo fondante della contemporaneità, 1770-1830:
uomini d’azione in Francia, di cultura in Germania: “Il corpo e l’anima… La Francia
agisce senza pensare, la Germania pensa senza agire”. Le tre guerre che la
Germania ha fatto alla Francia sono equivoci. Bismarck non voleva umiliare la
Francia. La guerra del 1914-18 si dovette al Kaiser Gugliemo II che voleva
battere la marina inglese. Hitler fu “una breve crisi di follia” – “I tedeschi
esagerano in tutto” ma non in cruddeltà.
Qualcosa di buono si è
prodotto anche in Francia: “Il discredito dell’ideologia marxista è stato rafforzato
in Francia dalla tradizione germanofobica”. Ma dentro un bel rovesciamento, la
sorpresa è il tratto del volumetto. Contro Marx. Ma anche contro Voltaire – uno
scemo. Contro Adenuer, che ha impedito la riunificazione tedesca, per ben due
volte. Ma con Mitterrand, che era un antipatizzante ma lo invitava a pranzo.
Su questa storia Tournier
riprende la distanza. Mitterrand invitava Tournier come confidente per la Germania
Est. La divisione della Germania era per lui essenziale, anche dopo il crollo
del Muro.
Aveva fatto proprio il motto
di Mauriac - di cui Andreotti s’è impossessato: “Amo tanto la Germania che mi rallegro
ce ne siano due”. E nel 1988, e ancora nel 1989, a regime praticamente inesistente, onorava
con visite di Stato i cancellieri di Berlino Est. Tournier, arrivato tardi alla
scrittura, a 43 anni, ama raccontare. Il racconto dele visite incrociate, in
pompa, Francia-Germania Est, a cavallo della fine, è feroce – sembra fantapolitica.
Ma suo malgrado?
Michel Tournier, Le Bonheur en Allemagne?, Folio, pp. 99
€ 5,90
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