Per i sessant’anni del
“Pasticciaccio” si riedita criticamente “La cognizione del dolore”. Una
coincidenza che porta a una rilettura un po’ diversa della “Cognizione”.
Diversa dal dolorismo di cui si afligge l’Ingegnere, che è invece anche qui arguto
– tra divertito e sgomento – social
scientist: acuto, un osservatore della società. Anticipatore anche per il
plurilinguismo, e per l’incompiutezza. Quello in senso maccheronico, tra la
divagazione e il dileggio. Questa come ribellione del novelist, l’autore di romanzi: c’è il finito della scultura non finita,
e c’è il romanzo finito anche senza il lieto-triste fine. “La cognizione del dolore”
viene prima, 1938-1940. Il “Pasticciaccio”, prodotto della guerra, divagazione quindi
al quadrato, affinando e moltiplicando la vena umoristico-sarcastica agisce
retrospettivamente sulla “Cognizione”, del triennio precedente, sulla
degustazione della “Cognizione”.
La riedizione non è
propriamente critica. È la stessa edizione finora classica, quella Einaudi, Impreziosita
dalla storia editoriale del romanzo – un altro romanzo – dei curatori Paola
Italòia, Giorgio Pinotti e Claudio Vela. E da vari materiali d’autore, dai bauli
delle carte. Un paio di redazioni di un’intervista (autointevista) per “Oggi”,
poi non pubbicata. La poesia “Autunno”, di aria brianzola, l’unica pubblicata
negli anni 1930, su “Solaria”. La genesi d’autore dell’opera, in un finto
dialogo editore-autore sulla madre, con esagerati non convinti elogi. E tre
finali per completare l’opera – un ultimo sberleffo. Ma con una una presentazione
che ne ribadisce il lato dolorifico, sotto traccia, rispetto a quello
arrabbiato-satirico con cui Gadda stende la partitura.
È il romanzo del rapporto infelice
dell’Ingegnere, che è figura vigile del racconto, con la madre. Evoluto presto,
dopo la guerra, la Grande Guerra, della morte del fratello Enrico, aviatore,
dopo quella del padre, verso la conflittualità costante – già nel 1921 Gadda
lascia la casa, con la sorella Maria, emigrando in Sud America. E simboleggiato
nella “casa”, la villa in Brianza che è l’arma e la scena del delitto, con cui
l’ostinata Adele Lehrr, la madre ungherese, professoressa di Lettere, preside, guasta
la vita di tutti.
È il libro della “tenebrante
angoscia” che l’Ingegnere proponeva? Non c’è una biografia di Gadda, che pure
sarebbe di grande mercato, e quindi non si può dire. Ma se ne sa abbastanza: l’Ingegnere
le sue nevrosi imputa alla madre. Era stato un giovane come tutti. Spensierato,
seppure non al modo prodigale del fratello minore Enrico. E curato: molto curato,
nella persona e nella démarche.
È il racconto che sancisce la
gloria di Gadda in vita, col Nobel mediterraneo di quegli ani, il premio
internazionale Formentor, o Prix International des Editeurs.
Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore, Adelphi, pp. 382 € 24
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