Il segno è rimasto uguale,
semplice – “infantile”. E anche il sorriso. Di quando era il ragazzo
dell’Ufficio grafico originario di “la Repubblica” – forse il nucleo storico
più denso del quotidiano di Scalfari, che però non si celebra: cosituito da
Franco Bevilacqua, con Giorgio Forattini principe effervescente, e Massimo
Bucchi satiro solitario – satiro da satirico. Da alcuni anni inventa ogni settimana
un cuoricino nuovo per la posta del cuore del “Venerdì di Repubblica”, e
in questa mostra ne riunisce una lunga
serie.
Una serie stimolata da Queneau,
dai suoi “Esercizi di Stile” – raccontare in 99 modi diversi un viaggio in autobus
a Parigi. Mojmir è un finto ingenuo, ma non per finta: e questo – volendo
insistere col riferimento a Queneau – fa la differenza: sono cuori, I suoi, cuoricini,
effettivamente narrativi e non esercizi di bravura.
I cuori Ježek espone qui
affiancati – l’amiìbizione di “fare l’artista” non lo ha abbadonato – con alcuni
Artworks. Di materiali poco mobile, cartone, gommapiuma, acrilico, ma tutti
argutamente correlati alle parti che la figurazione del cuore vuole, inguini,
natiche.
Mojmir Ježek, Batticuori, Palazzo delle Esposizioni,
Roma
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