Hartz IV – Il nome, e la
cosa, risuscitano con Macron in Francia? Si vuole il miracolo economico tedesco
di questo decennio dovuto allo Hartz IV, il complesso di norme che l’1 gennaio 2005
liberalizzò il mercato del lavoro in Germania. Ultimo atto di un programma
chiamato Agenda 2010. Preceduto da altri pacchetti Hartz, a partire dal 2002,
intesi ad alleviare la disoccupazione, che colpiva quasi cinque milioni di
persone.
In
realtà la deregolamentazione estrema del lavoro fu opera in Germania
non tanto di Peter Hartz, da cui prende il nome, ma della socialdemocrazia
europea. Del cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder e del premier
britannico Tony Blair, che ne fecero un manifesto, “Europe: The Third Way/Die Neue Mitte,” 1999. Hartz
presiedette la commissione di riforma a Berlino in quanto manager della
Volkswagen, il gruppo di cui Schröder, in precedenza a lungo governatore della
Bassa Sassonia, era stato a questo titolo azionista di riferimento, al 20 per
cento.
La
deregolamentazione del mercato del lavoro si è potuta imporre per il ruolo del
sindacato, che è in Germania antitetico a quello italiano. Ha sempre escluso lo
sciopero generale in quanto forma di azione politica. E si limita a proteggere
il salario, non necessariamente anche l’occupazione – si poteva licenziare in
Germania anche prima. Protegge il salario, peraltro, solo in due maniere. Come
contrattazione aziendale, del salario legato alla produttività. E per tenere
conto dell’inflazione. Tutto quanto è normato per legge per il sindacato tedesco
non è terreno di battaglia: si obbedisce a basta. Le norme di Harz IV - la
liberalizzazione, del posto e della retribuzione, in cambio di sostegni sociali
agli esclusi - sono legge, e il sindacato non le contesta.
Il
sistema funziona? Al costo sociale di una decina di milioni di soggetti
variamente assistiti, su una forza lavoro di 42 milioni di persone:
integrazioni di reddito, cure sanitarie, affitto della casa. Sulla base di un
sussidio disoccupazione-incapienza di 409 euro al mese, volutamente basso per obbligare
i beneficiari ad accettare un lavoro
qualsiasi. Su tutto vigila un sistema di monitoragio coercitivo, che non discute
ma sanziona. Costituito da 408 JobCenter, dotati di molta autonomia, ma nell’ottica
della riduzione dell’assistenza.
Malgrado
questa politica restrittiva, a fine 2016 i benefici sociali del pacchetto Hartz
IV si applicavano a sei milioni di persone. Di cui 2,6 disoccupati in base alla
terminologia statistica ufficiale. Più 1,7 milioni di “disoccupati non
ufficiali” – tenuti fuori dalla statistica della disoccupazione con “misure di
attivazione” (formazione, tirocinio, a un euro l’ora, mini-jobs). Più 1,6
milioni di minori, figli dei beneficiari.
Le
cifre lusinghiere della disoccupazione nascondono una realtà degradata. Un
milione di posti di lavoro sono a tempo – erano 300 mila nel 2000. La
percentuale dei lavoratori poveri, che guadagnano meno di 900 euro al mese, è
salita nei dieci anni dopo Hartz IV dal 18 al 22 per cento. Molti di loro, due milioni mediamente (portando così il totale dei sussidiati da sei a otto milioni), hanno bisogno di forme di assistenza, per fare la spesa, per curarsi, per una abitazione. E le statistiche
non tengono conto dei mini-job, il sistema misto di benefici sociali e paga
ridotta, portata ultimamente da 420 a 450 euro, al mese. Un secondo, o un
terzo, salario nella famiglia, ma non un posto di lavoro.
In
generale, le retribuzioni del lavoro sono in libera caduta, e spingono la
Germania verso la deflazione. Evitata grazia al boom costante delle esportazioni,
che beneficiano del dumping sociale. Il
circolo è vizioso: finora ha funzionato per il meglio, ma è minato. Anche
perché, se ha attivato una forte capacità di capitalizzazione delle imprese, questi
benefici però solo in parte ritornano sul mercato. Non, per esempio, sulle
banche, gravate da sofferenze quasi italiane.
Il
pacchetto Hartz, dalla Germania poi imposto più o meno ai partner europei, ha indebolito,
probabilmente a titolo definitivo, la socialdemocrazia. Che da allora ha perso competitività
politica, diventando minoritaria. È il ruolo, e l’involuzione, prossima alla cancellazione,
che ha avuto in Italia l’ex Pci, che ogni liberismo ha adottato e protegge. Blair
ha dovuto lasciare per le bugie sulla guerra all’Irak, non rimpianto dalle
Trade Unions. Schröder, sconfitto nel 2005 alle elezioni politiche dalla
Cdu-Csu, la democrazia cristiana di Angela Merkel, si è dedicato agli affari –
è consulente di aziende russe, quelle legate a Putin.
Peter
Hartz è un imprenditore, già direttore del Personale della Volkswagen fino allo
stesso 2005. Quando
si dimise in seguito a uno scandalo di cui fu ritenuto colpevole: mazzette vere
a manager VW da aziende fittizie,e subornazione dei sindacati, in denaro e altri favori, e con bordelli di proprietà liberamente fruibili, compreso il Viagra,
prescritto dai medici aziendali. Hartz si riconobbe colpevole, ebbe una condanna
lieve, a due anni con la condizionale, più una multa (575 mila euro), e vive da
allora in Francia. Dove si dice sia il consigliere segreto di Macron.
Totti – È il genius loci, che dunque c’è. Dell’Olimpico e forse della capitale, con
i quali l’ex capitano dell’As Roma si è identificato per quasi un quarto di
secolo. Pur stando sul campo, in mezzo ad altri ventuno atleti, e per di più
muto. Alla partita della stessa squadra nello stesso stadio che la tv mostrava
martedì Totti presenziava, in giacca e cravatta, ma non era la stessa cosa: la
partita si è svolta come se fosse una corsa di ventidue senza senso. Magari tra
squadre con più qualità di quelle con Totti. E del resto nella coppa dei
Campioni, il match dell’atra sera, l’As Roma ha per lo più dato brutte e bruttissime
prove, la Roma di Totti. Magari anche di atleti uno per uno migliori di Totti,
per questo o quell’abilità particolare. Ma i luoghi si identificavano con
questa presenza, non più in campo – per assenza.
Zambeccari – Uno
Zambeccari, patriota repubblicano, ispirò nientemeno la repubblica Riogradense,
o Rio Grande do Sul, staccatasi negli anni 1830 dall’impero del Brasile, che
attirò gran numero di fuoriusciti, italiani, francesi, spagnoli – i più baschi,
francesi e spagnoli. Ne perpetua il ricordo Garibaldi, che fu uno degli espatriati, nel memoir redatto da Dumas: il presidente
della repubblica di Rio de Janeiro, Benito Gonçalves, aveva come segretario uno
Zambeccari, “figlio del celebre aeronauta perduto in un in viaggio nella Siria”.
Deve
trattarsi di Livio, figlio del conte Francesco Zambeccari, bolognese, pioniere
a Londra e a Parigi del volo aerostatico – dopo aver militato nell’esercito
spagnolo. Una sua ascesa celebre fu quella sopra Venezia, alla punta della
Salute, il 15 aprile 1784, immortalato da Francesco Guardi in un quadro ora
alla Gemäldegalerie di Berlino. Il conte fu anche uno dei primi a superare i
tremila metri di altezza in volo. Trovò pure il tempo di arruolarsi nella
Marina russa, e di essere fatto prigioniero dai Turchi, per un paio d’anni. Ma
morì in ascensione a Bologna e non in Siria, nel 1812, per l’incendio del
pallone “a doppia camera” che stava sperimentando.
Cospiratoria e coperta fu invece l’attività del figlio Livio. C’erano aeronauti (Comaschi et al.) tra i giovani dei moti anti-pontifici degli
anni 1820-1830, ma Livio non si appassionò di palloni. Fu costretto all’esilio
a 19 anni, nel 1821. In Spagna e poi in Sud America. In Argentina combatté contro
il dittatore Rosas, poi passò nel Rio Grande do Sul. Nella posizione di
prestigio che Garibaldi ha voluto immortalata. Fu però catturato dagli imperiali
brasiliani, nel 1836, e tenuto prigioniero tre anni. Parteciperà in Italia ai
moti mazziniani degli anni 1840 in Romagna. Nel 1848 comandò il battaglione volontari
Cacciatori del Reno, in Veneto. Per la Repubblica Romana comandò il forte in
Ancona. Fu poi in esilio in Grecia, e dal 1854 in Piemonte. Fu volontario al
Volturno, alla fine dell’avventura dei Mille, meritandosi da Garibaldi il titolo
di Generale dell’Esercito Meridionale. Ma Zambeccari ora solo si occupava di massoneria:
nel 1859 fondò a Torino il Grande Oriente d’Italia, di cui fu Gran Maestro,
fino alla morte nel 1862.
astolfo@antiit.eu
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