Poco tragica, molto
grottesca, questa “vita” di Hugo. Un libello, non una biografia, contro l’opportunismo,
il poligrafismo, la poligamia. Il poeta non è simpatico a Ionesco da giovane,
quando scrisse questa “Hugoliade” per una rivista rumena, nel 1935,
un’esercitazione in biografismo antiapologetico. E nemmeno da grande, quando la
ripescò e, benché frammentaria, la propose in volume, dopo i successi parigini,
nel 1982. Una presenza però costante, questa di Hugo in Ionesco. Che ne imiterà
anche un titolo: “Le Roi s’amuse” è ricalcato sull’hugoliano “Le Roi se meurt”.
Si direbbe una prima espressione
degli umori crudeli (“assurdi”) di Ionesco. Ma Hugo meritava. “Hugoista” all’eccesso,
anche in morte della figlia, episodio su cui Ionesco si dilunga. Opportunista
politico senza vergogna: bonapartista, legittimista, orleanista, repubblicano,
non c’è cambiamento di regime in Francia che non l’abbia trovato compiacente.
Versificatore incontinente. Troppo spesso senza urgenza. Organizzatore assiduo
della propria fama, dapprima con la regia della madre. Bigamo spudorato, alla
fedele moglie Adèle affiancando Juliette Drouet prima e poi Thérèse Biard, che
finirà in manicomio – già il padre, figlio di un falegname, generale e conte di
Napoleone, aveva abbandonato moglie e figli per un falsa contessa spagnola. In
proprio, il poeta del perdono, della bontà e dei buoni sentimenti fu
cattivissimo coi suoi critici, in parole e in opere (li faceva licenziare).
Ionesco eccede. Il genio
teorizza come un fallito – “un’alta spiritualità non si abbassa mai a sposare
il genio o il talento”. E in un centinaio di pagine non dà respire al “Monumento”.
Più che se stesso, il suo Hugo fa primo dei letterati che satireggerà in teatro,
nella “Lezione”, nelle “Vittime del dovere”.
Eugène Ionesco, Vita grottesca e tragica di Victor Hugo
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