lunedì 4 settembre 2017

La scoperta del corpo

Catherine Malabou derridiana e anche hegeliana, filosofa in cattedra alla Kingston University di Londra, stimola Judith Butler, la filosofa americana “post.strutturalista”, sul corpo di Hegel nel dialogo della servitù, tra padorone e servo, al centro della “Fenomeologia dello spirito” - “Una lettura contemporanea della signoria e della servitù in Hegel” è il sottotitolo. Del dialogo si pone al centro l’ultima risorse del padrone asservito dal servo, la sfida “Che tu sia il mio corpo!”. Una cosa cioè impossibile.
La sfida del padrone di Hegel è irricevibile, il corpo è irriducibile. Ma Butler, delle due, non si arrende. Per quante resistenze celi, per lei il corpo resta un mister, e sia pieno di resistenze, allo stesso soggetto possessore, lo fa strumento, per quanto recondito, di potere, anche se non si sa quale. Contentandosi del suo potere livellatore – c’è anche questo: se il corpo del servo e quello del padrone pari sono.
Entrambe prendono atto che soggettività e corporeità non possono essere disgiunte. Ma del corpo non sanno che farsene, ingombrante com’è. Come diceva già Cicerone qualche tempo fa, “Tuscolane”, I, XXXIII, il corpo va oltre se stesso, e non solo per l’aspetto fisico, la complessione, la figura: “È di grande importanza per l’anima essere collocata in un corpo piuttosto che in un altro: poiché ci sono nel corpo molti elementi che acuiscono la mente e molti che la ottundono”. La confusione comincia col corpo. Nietzsche, che la post-strutturalista ben conosce, lo diceva: “Corpo io sono in tutto e per tutto, e null’altro”.
Le due filosofe ne discitono tra femminsite, o post. Anni luce dal primissimo post-1968, che esordì nel 1970 con uno “Sputiamo su Hegel”, per mano di Carla Lonzi. Ma da non mistiche e, evidentemenmyte, senza neanche Nietzsche. Al fondo, senza neanche il “genere”.
Catherine Malabou, Judith Butler, Che tu sia il mio corpo, Mimesis, pp. 120 € 10

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