Barbusse –La casuale lettura in
contemporanea di “L’Outsider” di C.Wilson e delle “Umoresche” di Čechov fa emergere
due Barbusse. Il notissimo Henri, celebre per il romanzo di denuncia della
Grande Guerra, “Il fuoco”, pubblicato mentre la guerra era in corso, nel 1917,
che Wilson celebra per il suo primo romanzo, naturalistico-metafisico,
“L’inferno”. E un Adrien Barbusse in quanto coautore, col prolifico
napoletano-parigino Henri Crisafulli, di un drammone di successo a Mosca,
“L’affaire Croverley”. Ora, Henri Barbusse è anche lui Adrien – Adrien Gustave
Henri. È l’autore de “Il fuoco” il coautore di Crisafulli? Non può essere: è nato
nel 1873, appena tre anni prima della messinscena del “Croverley”.
Il coautore dev’essere il padre di Henri,
anche lui Adrien: un protestante che si voleva pastore, e per questo era andato
a Ginevra a studiarvi la teologia, ma ne era tornato “ateo, repubblicano e
letterato”, secondo i biografi di Henri, e fu poi giornalista al “Siècle”. Un
personaggio dimenticato, non fosse per questo accenno in nota a Čechov – anche come
co-autore del “Croverley”: nessuna bibliografia lo cita, le biografie di
Crisafulli non lo menzionano
Il figlio Henri ebbe un’educazione
privilegiata. Allievo di Mallarmé per l’inglese, e di Bergson per la filosofia,
genero presto di Catulle-Mendes. Morirà a Mosca, la città dove Čechov lo
celebrava mezzo secolo prima, a fine agosto 1935. Vi si recava spesso, da
ammiratore del bolscevismo, amico di Lenin e di Gorkij, forse non avvelenato da
Stalin, d cui aveva appena pubblicato una agiografia.
Bath – Per scrivere “I Janeites”, il racconto umoristico della setta segreta
degli adoratori di Jane Austen, di cui era devoto, Kipilng raccontò di essersi recato
a Bath per respirarne l’atmosfera che “Jane” aveva respirato. Ma prima che di
Jane Bath era
stata teatro di Moll Flanders, l’eroina non proprio austeniana di Defoe.
Forza – È femminile di fatto, oltre che di genere grammaticale?
Michel Tournier assicura di sì, se non ora presto. Nella nostalgica
rievocazione della Repubblica Democratica Tedesca, in “Le bonheur en
Allemagne?”, l’agiografia di cui volle da ultimo la riedizione incrementata, spiega
che , per un progetto di romanzo sull’atletismo, aveva avuto lunghi incontri
con le campionesse tedesco-orientali, trovandolo non solo femminili e
affascinanti ma anche forti. E in progresso, ogni anno le atlete riducono le
distanze con le perfomances maschili, nota. E prima o poi le eguaglieranno:
“Dopotutto”, conclude, “negli ippodromi le giumente sono altrettanto potenti e
corrono altrettanto veloci che gli stalloni”.
Freud - Sul suo conto se ne leggono di ogni tipo – le persone
celebri attirano il gossip. Però
alcune fisse restano sorprendenti. La fobia del treno. E delle felci. Le 32
candidature al Nobel – finché non prevalse l’opinione che non poteva essere premiato,
non era uno scienziato della medicina. Il fumo incontinente, anche in presenza
di multipli polipi alla gola e al palato. La presenza costante, durante le sedute
di analisi, di Jofi, la sua chow-chow. La raccolta sistematica, seppure non
furtiva (allora si poteva), di reperti archeologici dovunque andasse – accumulò
circa duemila pezzi.
Joyce - Un romantico lo dice Colin
Wilson, facendone un personaggio di “L’Outsider”: “Il suo «artista», Stephen
Dedalus, comincia come il poeta predestinato”. E “questa prosa,che echeggia i
ritmi di «Mario l’Epicureo», è deliberatamente ipnotica, intesa a indurre uno
stato ipnotico”. Non proprio romantico, Joyce “teneva i piedi in entrambe le
tradizioni, romantico e realista sociale”.
Ma poi lo dicono in molti. Wilson dice
di più: dice Joyce di “approccio platonico-idealista”, e molto estetizzante. Sarà
vero che è un postmoderno, come lo vuole Eco, uno che raccontava per non saper
raccontare?
Marx – Non può funzionare, sosteneva
Spengler, che ne fa il ritratto in “Prussianesimo e socialismo”, perché è un
ibrido. È un tedesco, che crede quindi nella virtù dello Stato, imbevuto di Francia
del ribellismo ugualitarista, quindi antistatale, che pensa e progetta a
Londra, nel mondo del mercato. Se ne capisce, argomenta Spengler arguto, il
disprezzo del lavoro, come mai il lavoro sia ridotto a merce, e di poco valore.
Nietzsche – Se ne fece uno falso negli
Usa nel 1951 una “autobiografia” intitolata “Mia sorella e io”. Che però ha
tenuto e tiene ancora banco, non il testo, ma il problema: il rapporto di
Nietzsche con la sorella, autoelettasi curatrice dell’opera.
Samuel Roth, l’editore della compilazione,
che ne è probabilmente l’autore, firmandosi Oscar Levy, era interessato a
Nietzsche a letto, con la sorella, e con Cosima Wagner In carcere per aver
distribuito illegalmente negli Usa l’“Ulisse” di Joyce, Roth spiegò di avere
avuto il manoscritto da un codetenuto che – cinquant’anni prima – aveva incontrato
Nietzsche in Turingia, e di aver assunto l’ignoto Levy per la traduzione dal
tedesco. Però è scritta nello stile perentorio (profetico) di Nietzsche, tra
aforismi e aneddoti.
Prussia – Non ha un poeta. Non ha
lasciato molte tracce in letteratura, se non i romanzi di Fontane. Gottfried
Benn, l’ultimo della Pépinière, dell’accademia di Potsdam, ne è molto lontano
nello spirito. La letteratura tedesca è ricchissima in altre regioni e storie,
sa poco di Prussia.
Thomas Mann, forse, si vedeva prussiano,
ma era anseatico, quindi mezzo inglese, se non altro nella pronuncia – e di
madre brasiliana. Curiosamente, un romanzo di autore prussiano, Carl Freytag, “Dovere
e avere”, fa una storia alla “Buddenbrooks” quasi mezzo secolo prima, nel 1855,
ma in piccolo: è l’epopea della drogheria all’ingrosso.
Scatole cinesi - Schiller è nato dopo Goethe
ed è morto prima di lui. Novalis è nato dopo Schiller ed è morto prima di lui.
Tournier, nel suo ditirambo da germanista, “Le bonheur en Allemagne?, evidenzia
la circostanza come una sorta di processo creativo mammale.
Voltaire - “Si voleva autore
drammatico, ma il suo teatro è nullo”. “Le sue opere di storia ugualmente sono
cadute nel dimenticatoio”. “Che ne resta? I racconti? Ma Voltaire era
sprovvisto all’ultimo grado di ogni senso del meraviglioso e del fantastico” (“I
suoi racconti sono di una’aridità e un’indigenza…”). “Quanto alla filosofia, il
suo «Dizionario filosofico» è scandaloso di banalità, di superficialità e anche
di bassezza”
Michel Tournier, tutto teso a vantare il
germanesimo, ne è stroncatore cattivissimo in una sola pagina dell’apologetico “Le
bonheur en Allemagne?”. Indisposto da un sondaggio che dice Voltaire lo
scrittore più ammirato in Francia, più di Victor Hugo.
letterautore@antiit.eu
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