È passato per un libro di
coloritura, e invece è il resoconto più fedele dei Mille in Sicilia, a tratti
perfino pedante. Con Dumas naturalmente deuteragonista, il tipo ”ho detto” e
“ho fatto”, futuro autore di un’autobiografia in 22 volumi. Con “Emma” sulle
tracce di Garibaldi, da Genova a Marsala, a Palermo e oltre, fino a Napoli –
“Emma” è la sua goletta. Quello per il quale solo Garibaldi ha occhi e voce. Il
“poeta” della rivoluzione, per il quale un trionfo popolare viene decretato. Cittadino
onorario di ogni città liberata – lontano dalla Francia “lontano dalla calunnia
e dall’inganno”. Trafficante d’armi per conto di Garibaldi a Marsiglia e in
Belgio: “Nulla è più strano di ciò che accade sotto i nostri occhi”. È lui che libera la Basilicata, da Salerno,
stando alla fonda. E si introna da sé alla fine, una sorta di “re
di Napoli” prima d Maradona: “Mai un re ebbe nella sua anticamera e nei suoi
saloni una folla simile a quella che fa la coda in barca per venire a
stringermi la mano e ad abbracciarmi”. Ma documentato, e veritiero – solo scambia
Carlo Filangieri con Gaetano, a p. 178, ma è un errore della traduzione. La
pubblicazione a puntate come diario di guerra non permetteva altrimenti. Ma
Dumas si segnala per un giudizio storico e politico che è il più convincente.
Si dimentica che Garibaldi
conquistò la Sicilia, tutti i siciliani, non vinse nel vuoto, con la libertà –
si preferisce dire i sicìliani, piace ai siciliani dirlo, opportunisti e
gattopardi, ma quello è un fatto: Garibaldi fu un liberatore, per questo bene
accolto. Un leitmotiv costante, ma asciutto, quasi antiretorico. Diverso, anzi
antitetico, il discorso per Napoli. Che il giorno dopo l’arrivo del Dittatore
Liberatore solo si occupa di Dumas e di come calunniarlo - di nient’altro la
stampa e i patrioti napoletani si occupano che della nomina dello scrittore, motu proprio d’iniziativa di Garibaldi,
a direttore degli scavi e dei musei, carica ambita. Dopo che cinque giornali
hanno pubblicato le sue corrispondenze sul “Siècle” spacciandole per loro
riservata proprietà, senza nulla dovere a Dumas, romanziere molto celebre – il
libro è la raccolta delle corrispondenze.
Non tace peraltro, e anzi
sottolinea, la cura speciale che Garibaldi annetteva all’infromazione e alla
sua personale imagine. È anche per questo che fa di Dumas, fatuo quanto si
vuole, con la sua goletta ovunque e le sue amanti in fiore e insapore, ma
scrittore celebrato, il testimone oculare dei maggiori fatti d’arme. È Garibaldi
che inventa per Napoli liberata un giornale, da confidare a Dumas, e ne decreta
anche il nome, “Indipendente”, provvedendolo di fondi dalle casse pubbliche.
Dumas lo ripaga con una lode a ogni corrispondenza, ma da ottimo script writer – da ultimo, Garibaldi
conquista Napoli con la sensibilità: gli basta mandare in porto “un bastimento
parlamentare, con cento soldati e trenta ufficiali prigionieri” ed è fatta, “con
la sua stupenda sensibiltà Garibaldi capiva bene quale effetto avevano sui napoletani
quelle prove visibili della disfatta dei regi”.
L’equanimità si spinge al
racconto rispettoso della partenza dell’avversatissimo giovane re Francesco II
da Napoli per Gaeta. E alla sorprendente – ma non più per la storia come si
viene riscrivendo - rivalutazione del
governo di transizione di Liborio Romano, come quello nominato da Francesco II
ma per regolare il regno nei giorni della vacanza di potere. Il compito fu
svolto egregiamente: non ci furono
vendette, né personali né politiche, e la guerra civile cui molti ancien régime propendevano non venne mai all’ordine del giorno.
Con molte “notizie di
guerra”, di malvagità commesse dal nemico, in genere stupri di donne e violenze sui bambini – il nemico
in guerra, soprattutto se in rotta, non pensa che a quello. Ma con molte
testimonianze di verità, da grande reporter. “Una cosa esaspera Garibaldi: che i
siciliani lo chiamino Eccellenza e
vogliano a ogni costo baciargli la mano”. Si moltiplicano a Palermo le vendette
private. I volontari accorrono in folle. Mentre “quando attraversai la Sicilia
nel 1835 ero in compagnia di un capo bandito, al quale avevo dato 10 piastre
perché mi proteggesse”. C’è costante la presenza di navi da guerra inglesi,
americane, francesi: a Palermo “la tregua è concordata alla presenza degli
ammiragli inglese, americano e francese”. La liberazione di Palermo “durò tre
giorni”, facendo “mille-millecinquecento morti”: “In sole 24 ore piovvero sulla
città duemila e seicento bombe”, concentrate “sui monumenti piubblici, sugli
istituti di beneficenza e sui conventi”.
Il Dumas invasivo riserva
peraltro due storie interessanti. Odia i Napoletani - i Borbone di Napoli –
perché suo padre, di ritorno dall’Egitto, fu rinchiuso proditoriamente in
carcerere dal prozio di Francesco II e avvelenato. Con Dolomieu, che ne morì, e
il generale Manscourt, che ne uscì pazzo: “Mio padre resisté, ma morì sei anni
dopo di cancro allo stomaco, aveva quarant’anni”.
L’altra storia è di un primo
tentative, questo personale ma non “dumasiano”, di facilitare l’insurrezione
della Sicilia, nei moti del 1834. Sbarcò nell’isola – su suggerimento, pare, di
Bellini – e finì col farsi latore di una lettera dei patrioti siciliani al
conte di Siracusa - fratello di Fedinando II, il futuro Re Bomba dei moti del
’48 repressi con le armi - che la Sicilia aveva governato bene. Il conte si
disse d’accordo con le richieste dei siciliani, ma disse anche a Dumas che mai
avrebbe avviato una iniziativa contro il fratello – il conte morirà, esule a
Pisa, poche settimane dopo Teano.
Alexandre Dumas, I Garibaldini, Editori Riuniti Univ.
Press pp. 285 € 18
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