sabato 2 settembre 2017

Ma Garibaldi liberò il Sud

È passato per un libro di coloritura, e invece è il resoconto più fedele dei Mille in Sicilia, a tratti perfino pedante. Con Dumas naturalmente deuteragonista, il tipo ”ho detto” e “ho fatto”, futuro autore di un’autobiografia in 22 volumi. Con “Emma” sulle tracce di Garibaldi, da Genova a Marsala, a Palermo e oltre, fino a Napoli – “Emma” è la sua goletta. Quello per il quale solo Garibaldi ha occhi e voce. Il “poeta” della rivoluzione, per il quale un trionfo popolare viene decretato. Cittadino onorario di ogni città liberata – lontano dalla Francia “lontano dalla calunnia e dall’inganno”. Trafficante d’armi per conto di Garibaldi a Marsiglia e in Belgio: “Nulla è più strano di ciò che accade sotto i nostri occhi”. È lui che libera la Basilicata, da Salerno, stando alla fonda. E si introna da sé alla fine, una sorta di “re di Napoli” prima d Maradona: “Mai un re ebbe nella sua anticamera e nei suoi saloni una folla simile a quella che fa la coda in barca per venire a stringermi la mano e ad abbracciarmi”. Ma documentato, e veritiero – solo scambia Carlo Filangieri con Gaetano, a p. 178, ma è un errore della traduzione. La pubblicazione a puntate come diario di guerra non permetteva altrimenti. Ma Dumas si segnala per un giudizio storico e politico che è il più convincente.
Si dimentica che Garibaldi conquistò la Sicilia, tutti i siciliani, non vinse nel vuoto, con la libertà – si preferisce dire i sicìliani, piace ai siciliani dirlo, opportunisti e gattopardi, ma quello è un fatto: Garibaldi fu un liberatore, per questo bene accolto. Un leitmotiv costante, ma asciutto, quasi antiretorico. Diverso, anzi antitetico, il discorso per Napoli. Che il giorno dopo l’arrivo del Dittatore Liberatore solo si occupa di Dumas e di come calunniarlo - di nient’altro la stampa e i patrioti napoletani si occupano che della nomina dello scrittore, motu proprio d’iniziativa di Garibaldi, a direttore degli scavi e dei musei, carica ambita. Dopo che cinque giornali hanno pubblicato le sue corrispondenze sul “Siècle” spacciandole per loro riservata proprietà, senza nulla dovere a Dumas, romanziere molto celebre – il libro è la raccolta delle corrispondenze.
Non tace peraltro, e anzi sottolinea, la cura speciale che Garibaldi annetteva all’infromazione e alla sua personale imagine. È anche per questo che fa di Dumas, fatuo quanto si vuole, con la sua goletta ovunque e le sue amanti in fiore e insapore, ma scrittore celebrato, il testimone oculare dei maggiori fatti d’arme. È Garibaldi che inventa per Napoli liberata un giornale, da confidare a Dumas, e ne decreta anche il nome, “Indipendente”, provvedendolo di fondi dalle casse pubbliche. Dumas lo ripaga con una lode a ogni corrispondenza, ma da ottimo script writer – da ultimo, Garibaldi conquista Napoli con la sensibilità: gli basta mandare in porto “un bastimento parlamentare, con cento soldati e trenta ufficiali prigionieri” ed è fatta, “con la sua stupenda sensibiltà Garibaldi capiva bene quale effetto avevano sui napoletani quelle prove visibili della disfatta dei regi”.
L’equanimità si spinge al racconto rispettoso della partenza dell’avversatissimo giovane re Francesco II da Napoli per Gaeta. E alla sorprendente – ma non più per la storia come si viene riscrivendo -  rivalutazione del governo di transizione di Liborio Romano, come quello nominato da Francesco II ma per regolare il regno nei giorni della vacanza di potere. Il compito fu svolto  egregiamente: non ci furono vendette, né personali né politiche, e la guerra civile cui molti ancien régime propendevano non venne mai all’ordine del giorno.
Con molte “notizie di guerra”, di malvagità commesse dal nemico, in genere stupri  di donne e violenze sui bambini – il nemico in guerra, soprattutto se in rotta, non pensa che a quello. Ma con molte testimonianze di verità, da grande reporter. “Una cosa esaspera Garibaldi: che i siciliani lo chiamino Eccellenza e vogliano a ogni costo baciargli la mano”. Si moltiplicano a Palermo le vendette private. I volontari accorrono in folle. Mentre “quando attraversai la Sicilia nel 1835 ero in compagnia di un capo bandito, al quale avevo dato 10 piastre perché mi proteggesse”. C’è costante la presenza di navi da guerra inglesi, americane, francesi: a Palermo “la tregua è concordata alla presenza degli ammiragli inglese, americano e francese”. La liberazione di Palermo “durò tre giorni”, facendo “mille-millecinquecento morti”: “In sole 24 ore piovvero sulla città duemila e seicento bombe”, concentrate “sui monumenti piubblici, sugli istituti di beneficenza e sui conventi”.
Il Dumas invasivo riserva peraltro due storie interessanti. Odia i Napoletani - i Borbone di Napoli – perché suo padre, di ritorno dall’Egitto, fu rinchiuso proditoriamente in carcerere dal prozio di Francesco II e avvelenato. Con Dolomieu, che ne morì, e il generale Manscourt, che ne uscì pazzo: “Mio padre resisté, ma morì sei anni dopo di cancro allo stomaco, aveva quarant’anni”.
L’altra storia è di un primo tentative, questo personale ma non “dumasiano”, di facilitare l’insurrezione della Sicilia, nei moti del 1834. Sbarcò nell’isola – su suggerimento, pare, di Bellini – e finì col farsi latore di una lettera dei patrioti siciliani al conte di Siracusa - fratello di Fedinando II, il futuro Re Bomba dei moti del ’48 repressi con le armi - che la Sicilia aveva governato bene. Il conte si disse d’accordo con le richieste dei siciliani, ma disse anche a Dumas che mai avrebbe avviato una iniziativa contro il fratello – il conte morirà, esule a Pisa, poche settimane dopo Teano.

Alexandre Dumas, I Garibaldini, Editori Riuniti Univ. Press pp. 285 € 18

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