A Gela, negli anni 1960, e
anche 1970, quando la petrolchimica tirava e se ne poteva fare motore di
sviluppo del Mezzogiorno, ogni anno a luglio l’Anic-Eni doveva trattare l’emergenza acqua, che il Prefetto voleva per la città dal petrolchimico – la Sicilia
meridionale era piena d’acqua, ma privata. L’impianto cioè si fermava, e a Gela
bevevano. La crisi durava un mese, tutto luglio. Ad agosto l’acqua continuava a
mancare, si suppone, ma i cittadini e il Prefetto erano ai bagni di mare, e
comunque il petrolchimico chiudeva. È uno dei tanti conflitti locale-globale.
Che a volte si risolvono a volte no.
Nel caso di Gela Potere
Operaio tentò nell’estate del 1971 di rifare Reggio Calabria, la rivolta
di popolo che tanta fortuna aveva portato a Lotta Continua, ma nessuno si
fermava ai suoi megafoni, i sette compagni restarono soli: la città risolveva i
suoi problem locali con gli interessi dell’Eni multinazionale. E viceversa, si
posssono dare casi di interessi locali ecologici, che Eriksen cita, in contrasto
con Greenpeace e altre organizzazioni ecologiste.
Nel caso siciliano poi l’Eni,
la petrolchimica, l’acqua e lo sviluppo di Gela hanno seguito strade diverse. L’Eni
verso la liquidazione del settore. Gela nel pantano: una cittadona informe, che
non ha migliorato - non nel complesso, non mediamente, pro capite - ma ha l’acqua.
Ci sono sempre conflitti, è
la scoperta dell’acqua calda. Ce ne sono anche nella stagnazione. Quelli del
cambiamento sono di più. E se il cambiamento è “accelerato”, o per meglio dire
confuso, quale è il cosiddetto pensiero unico di oggi (mercato, libero scambio, privato),
sono più complessi e sfaccettati, aperti a mille soluzioni, o strozzature.
“Un’antropologia del cambiamento
accelerato” è il sottotitolo della trattazione. Con la riscoperta dell’Antropocene, che l’epoca è segnata dall’uomo - e quindi è condannata, l’estinzione dell'homo sapiens H.G.Wells vedeva scritta nelle stelle, nella sua terribilissima ultima opera, le venti pagine del pamphlet “Mind at the End of its Tether”. E con la meno vecchia ma nota salvezza che
viene dal piccolo e personale invece che dal grande e globale. Anche se molto
campanilismo è solo becero, e sciocco. Razzista per esempio, sotto l’etichetta
identitaria. Reazionario sotto quella della tradizione. Ma anche innovativo,
seppure in opposizione al monopolio istituzionale dell’innovazione.
L’antropologo novegese è
ottimista: prospetta soluzioni. Ineguaglianze e iniquità sono moltiplicate e
ampliate dalla globalizzazione, dalla caduta delle difese, invece che, come da
presupposto, ridotte ed eliminate. Le crisi d’altronde vengono percepite e
sofferte a livello locale, comunitario, personale, solo le ricette sono universali. E quindi, vuole
dire Eriksen, diamoci sotto: finché c’è vita c’è speranza. Con molta dottrina
ma uno solo è il messaggio, dell’ottimismo: forza!
Thomas Hylland Eriksen, Fuori controllo, Einaudi, pp. XIV-215 €
17
Nessun commento:
Posta un commento