lunedì 11 settembre 2017

Nel cambiamento tenersi saldi

A Gela, negli anni 1960, e anche 1970, quando la petrolchimica tirava e se ne poteva fare motore di sviluppo del Mezzogiorno, ogni anno a luglio l’Anic-Eni doveva trattare l’emergenza acqua, che il Prefetto voleva per la città dal petrolchimico – la Sicilia meridionale era piena d’acqua, ma privata. L’impianto cioè si fermava, e a Gela bevevano. La crisi durava un mese, tutto luglio. Ad agosto l’acqua continuava a mancare, si suppone, ma i cittadini e il Prefetto erano ai bagni di mare, e comunque il petrolchimico chiudeva. È uno dei tanti conflitti locale-globale. Che a volte si risolvono a volte no.
Nel caso di Gela Potere Operaio tentò nell’estate del 1971 di rifare Reggio Calabria, la rivolta di popolo che tanta fortuna aveva portato a Lotta Continua, ma nessuno si fermava ai suoi megafoni, i sette compagni restarono soli: la città risolveva i suoi problem locali con gli interessi dell’Eni multinazionale. E viceversa, si posssono dare casi di interessi locali ecologici, che Eriksen cita, in contrasto con Greenpeace e altre organizzazioni ecologiste.
Nel caso siciliano poi l’Eni, la petrolchimica, l’acqua e lo sviluppo di Gela hanno seguito strade diverse. L’Eni verso la liquidazione del settore. Gela nel pantano: una cittadona informe, che non ha migliorato - non nel complesso, non mediamente, pro capite - ma ha l’acqua.
Ci sono sempre conflitti, è la scoperta dell’acqua calda. Ce ne sono anche nella stagnazione. Quelli del cambiamento sono di più. E se il cambiamento è “accelerato”, o per meglio dire confuso, quale è il cosiddetto pensiero unico di oggi (mercato, libero scambio, privato), sono più complessi e sfaccettati, aperti a mille soluzioni, o strozzature.
“Un’antropologia del cambiamento accelerato” è il sottotitolo della trattazione. Con la riscoperta dell’Antropocene, che l’epoca è segnata dall’uomo - e quindi è condannata, lestinzione dell'homo sapiens H.G.Wells vedeva scritta nelle stelle, nella sua terribilissima ultima opera, le venti pagine del pamphlet Mind at the End of its Tether. E con la meno vecchia ma nota salvezza che viene dal piccolo e personale invece che dal grande e globale. Anche se molto campanilismo è solo becero, e sciocco. Razzista per esempio, sotto l’etichetta identitaria. Reazionario sotto quella della tradizione. Ma anche innovativo, seppure in opposizione al monopolio istituzionale dell’innovazione.
L’antropologo novegese è ottimista: prospetta soluzioni. Ineguaglianze e iniquità sono moltiplicate e ampliate dalla globalizzazione, dalla caduta delle difese, invece che, come da presupposto, ridotte ed eliminate. Le crisi d’altronde vengono percepite e sofferte a livello locale, comunitario, personale,  solo le ricette sono universali. E quindi, vuole dire Eriksen, diamoci sotto: finché c’è vita c’è speranza. Con molta dottrina ma uno solo è il messaggio, dell’ottimismo: forza!
Thomas Hylland Eriksen, Fuori controllo, Einaudi, pp. XIV-215 € 17

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