Aggiornamento – Fu a lungo il nome della “modernizzazione”
della chiesa, compito oggi precipuo del papa, regnante. Che però Astolfo, “Non
c’è anarchico felice”, poteva così raccontare degli anni di Paolo VI:
“Anche
il papa è bello e malinconico, nel viso adolescente con le occhiaie, e solo.
Abolisce il latino in ossequio al Concilio, dice, ma nessun Concilio l’ha
detto. Si voleva anzi farne la lingua dell’Europa unita, prima che lui lo
escludesse dalle chiese, e quindi dalle scuole. Per quella fede che vuole senza
radici, e senza padre, che gli africani ha buttato nell’angoscia, e gli
asiatici, senza più una lingua. Cristina (Cristina Campo, n.d.r.) difende la
grazia e il sacro, e il papa lo sa. Chi è allora chi? C’è confusione pure
riguardo al popolo e al progresso. Da tempo la chiesa rimuove l’unità di natura
e salvezza, entrambe creazione per i padri, come già per sant’Agostino e fino a
Ugo di san Vittore, ma la disincarnazione è ora settaria, paranoia che dissecca
l’anima, se la concupiscenza è peccato. Il papa avrà ultimato la sua “servitù
della verità”, avendo, come voleva, “spinto il dubbio alle estreme
conseguenze”. Ma sbaglia, ragazzo eterno, le uscite: il dubbio non conduce alla
verità e alla fede. Il papa sarà l’Anticristo, l’arconte di Giovanni, ma un
demonio in agguato sarebbe perplesso, per quanto beffardo.
“I
cattolici furono critici costanti della borghesia. Ma il papa ora s’arrende,
modernista ritardato. Per gretto economicismo scioglie i riti e ogni incanto, e
sta a sindacare se i santi sono esistiti e che miracoli hanno realmente fatto.
Punta sul pauperismo e la democrazia all’età del sacro, quando monta la domanda
di miti e speranza. Sono i miracoli reali? Il papa non sa quello che sa Eco, se
miracolo è recuperare il falcetto caduto nel pozzo: che il santo può non essere
esistito, oppure è esistito ma era uno che se la godeva, mentre il falcetto
miracolato sicuramente sì, ci fu un tempo, lungo, in Europa in cui il ferro
lavorato era raro e caro – bisogna voler bene ai goti e ai loro compari, ma per
cinque-seicento anni fecero dell’erba sterpi. C’è il femminismo e il papa
occulta la Madonna. Non ne discute la grazia infusa perché non crede alla
verginità, solo è dolente sotto il peccato. E il conformismo scambia per democrazia
pure nell’abito: i preti vogliono la zampa d’elefante e il doloroso unisex,
l’eternità riducendo all’attualità. Solo i dogmi tengono inalterati, come
pietre morte”.
Papa
Bergoglio è tornato alla critica della borghesia. Ma da alto borghese – dialoga
con Scalfari e ogni establishment?
Anch’egli l’eternità riduce all’attualità, solo i dogmi lasciando inalterati,
come pietre morte.
Giallo – È al gusto
della morte, si è sempre detto, poiché di necessità parte da una morte, almeno
una – o ha le morti in mezzo, l’inspiegabile da spiegare. Essendo l’unica cosa certa, la morte ha a lungo eccitato la paura,
in quan-to manifestazione del sacro – del mistero cioè, dell’incerto. È la
certezza incomprensibile: l’ultima manifestazione ne è Kafka. Ma in epoca razionale
una cosa certa è, semplicemente. Non crea sorpresa né paura. Si teme la
sofferenza, che viene dalla malattia o dalla violenza – da quella familiare o
da quella del crimine. In quanto turbamento dell’ordine. Ma il giallo, e il noir,
sono esercitazioni sulla violenza, e quindi sul dolore, e non sulla morte. Il
morto, la morte, sono inespressivi. Si veda Kierkegaard: “Il quadrato è
la parodia del circolo: la vita e il pensiero sono un circolo, mentre la
pietrificazione della vita prende la forma della cristallizzazione. L’angolare
è la tendenza a restare statici: a morire”.
Misericordia – È nozione
ambigua, benché papale, ex cathedra,
e giubilare. Evoca le contemporanee morti misericordiose in Svizzera e nei
paesi scandivi, che nulla hanno di misericordioso, se non il business ben fatto (performing) – e naturalmente quelle di massa di Hitler col
programma T 4. Ma anche fuori anomalia – per quanto si voglia “progressista”,
futuribile, benevola, la morte misericordiosa lo è - non è la carità altezzosa,
di chi ha e può, piuttosto che di chi vuole?
Heidegger
–
Si può dire in breve. Il problema è l’essere dell’Essere. Il nodo è la maniera
giusta di porre le domande, Socrate. Non certo arrivare, dice Heidegger, il
Filosofo Secondo, conta il viaggio, conta partire. Questa filosofia è pure di
Jerry Rubin, e lo è stata di Hendrix, Brian Jones, Janis Joplin, Morrison, la
vita per la morte. Weg è il titolo preferito del Filosofo Secondo, in
poesia e in prosa. Aggiogato all’aristotelico “essenziale
dell’essenza”, sovrastato dalla formula pietista Denken ist Danken,
grazie di poter pensare. La logica da Aristotele a Kant ripete e
classifica la finitezza. Come Teeteto dice in Platone, “ogni cosa bella mostra
il mistero del limite”, l’infinito è una forma dell’imperfezione, eccetera, il
bello è una forma del brutto, il brutto del bello, anche san Bernardino da
Siena è della stessa opinione. Solo Spinoza, col sublime, vieta di dare un nome
all’essenza della vita, le forme finite o attributi non si addicono a Dio, la
cui essenza è di essere non limitabile. Ma poi Spinoza, autore del Dio
impersonale fuori dello spazio e del tempo, fece la matematica della natura,
mentre Platone volava nell’iperuranio. La filosofia ha quindi frantumato la
logica e l’universo, in favore dell’assolutezza della numerologia - una
dissoluzione che fu opera di logici, ancorché ebraici. Per concludere con un esercizio ad alta quota: “L’uomo non è se stesso
in quanto è un io, ma può essere un io in quanto è se stesso”. Il se stesso è
insomma più dell’io. Ma anche l’io: “Io, in quanto io, non ricado sotto la
specie dell’io, bensì anche sotto quelle del tu, del noi e del voi”. Basta
intendersi, la logica è risolutiva.
E tuttavia, scolastico e pietista, il
Filosofo Secondo è anch’egli cabalista, volendo fare l’ontologia del nulla.
Morte – Se è una
perdita non si condivide, neanche coi familiari o
gli amici, con tutta la buona volontà: la perdita è personale, per il morto e
per se stessi
“Odio la duplicità come odio la morte”,
pare che san Franecsco di Sales dicesse ai calvinisti per convertili. Cioè
senza effetto?
Simone
Weil trovava in fabbrica, nel lavoro, la “morte quotidiana”. Nel lavoro fisico,
lei essendo una intellettuale che sperimentava la fabbrica, il lavoro alla
catena, coi temp e metodi e le quantità di prodotto per unità di orario. Ma anche
nell’insegnamento, che con fatica praticava: “Il lavoro fa violenza alla natura
umana. La morte e il lavoro sono cose di necessità e non di scelta”. Non sa
cos’è l’ozio forzato. Il lavoro, anche manuale, estende e distende il pensiero,
lo riposa, lo mette in moto
.
Nichilismo
–
È categoria reazionaria. In reazione a Hegel non solo: è l’abominio
dell’esistente, non innova, non libera, e non esplora. “Esser-là”
nell’esistenza, lo diceva Jean Paul per scherzo. Il
nichilismo d’autore suona falso. Per l’argomento da che pulpito la predica, non
del tutto volgare. Tale è la cura che la scrittura richiede, per creare,
diffondere, spiegare: non è roba da stanchi, o angosciati. Un professore
universitario, quali sono i filosofi oggi, ha poi impegni pratici doppi, con le
fotocopiatrici e le sessioni d’esame.
Platone – I suoi
dialoghi sono rappresentazioni, più che ragionamento. Il cui filo filosofico è
arduo da dipanare. Aperti a varie interpretazioni. Romanzi si potrebbero dire,
joyciani, aperti.
Realtà – C’è una realtà
che è per natura una anti-realtà, invasiva e insieme mobile, inafferrabile, o
indefinibile: quella sociale. (nazionale, etnica per estensione - o per
delimitazione). Di cui la riflessione si fa specchio soprattutto negli Usa.
Nella riflessione propriamente detta, di Thoreau e William James, e più
nell’estetica: nella scrittura, da Poe e Melville a Philip Roth, al cinema, in
teatro. Lo scrittore Philip Roth, “Writing in America today”, 1960, lo spiega
con un aneddoto. Di una vicenda vera, di morte e fantasia, talmente complicata
e assurda, che uno scrittore non potrebbe eguagliarla, se non a prezzo dell’inveroisimiglianza.
“Qual è la morale dalla storia?, si chiedeva lo scrittore, e si rispondeva: che
lo scrittore è disarmato, la realtà è sempre più complessa, soverchia ogni immaginazione.
Che è il mito dell’America extralarge,
o più grande di quanto si possa immaginare, e non più il classico
uomo-misura-di-tutte-le-cose. Ma è pur sempre una dichiarazione di inabilità.
Nel mondo – economico, sociale, politico – che si vuole il più indagato e quantificato
possibile, perfino determinato (o in ottica determinazionistica), quali sono
gli Usa.
Socrate – Poggi sarebbe
in tv e terrebbe un talk-show, immagina sulla “Lettura” lo scrittore spagnolo
Marcos Chicot. O non sarebbe l’opposto? Socrate è la vita o il pensiero in
cammino, la dialettica: l’opposto della saccenteria. Quello dello scrittore
spagnolo sarebbe il Socrate di molto Platone, che invece amava molto i
talk-show, nei quali ognuno parla per sé, irrelato ai discussant – i suoi dialoghi
hanno l’andamento narrativo dei talk-.show, o del fichismo, dell’oneupmanship (“tie’!”)
Tempo
-
. Dice Schopenhauer che “il tempo è percepito solo in quanto è riempito”. Ma
non di più quando è vuoto? Per forza (malattia, disoccupazione, disgrazia) o
per scelta\condizione (handicap fisico, agiatezza, condizione familiare).
zeulig@antiit.eu
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