“Se vi è qualcuno che sia
capace di non avere pietà per il povero è il povero arricchito. In questo senso
la borghesia, con i suoi umanitarismi democratici, è più trista e crudele dell’antica
aristiocrazia”. Non è vero, ma è l’impianto convinto di un racconto verità convincente.
Anche se di di autore trascurato, in un’opera cancellata. Benché sia stata una
delle pietre miliari dell’antifascismo - non si di quello rituale, è vero: fin
dall’inizio ha un approccio critico,
Un romanzo critico cioè dello
stesso antifascismo. A sinistra più che a destra. Che impersona nel protagonist:
uno che si è arricchito, ma faticando senza soste, e di vedute ragionate, il self-made man dei romanzi sociali
americani del decennio successivo. La sinistra entra in scena equivoca, alla
stessa pagina del povero arricchito, 47. L’onorevole socialista, infiammatore
di folle, ha “quella espressione un po’ tronfia e fatticcia che assumono quasi
inconsapevolmente coloro che fanno di professione gli agitatori di folle”. I
suoi famigli lo guardano “con un ebete sorriso di beatitudine e di trionfo”. Il
Moro è “una specie di gesuita”, etc.. Ci sono anche “sinceri ed equilibratie
socalisti della maniera antica”, ma sono “pochi” e non contano.
Non è la sola “scorrettezza”.
C’è l’ebreaccio, “un figuro tra l’agente di borsa, il baro e il tenitore di
postriboli”. La rivoluzione è urlata dal “solito gruppo di donne” – che per
prime si disorientano e si dileguano. L’onorevole demagogo è uno “che parla
della folla come di un animale da aizzare”. Al quale il protagonista agrario
può dire vergogna: “Voi vi servite della folla come un vecchio satiro potrebbe
servirsi di una minorenne”.
Un racconto sempre solido.
Dell’applicazione contro la dissipazione. Della realtà contro la demagogia. Del
lavoro contro l’azzardo. Della campagna contro la città. Della fatica e il
sudore contro la politica politicante – gli “avvocati”, che sono di Milano,
parlano come oggi i paglietti fighetti in tv.
Un romanzo politico, ma non
ideologico – non come tanto povero neo realismo declamatorio di questo
dopoguerra. Stupefacente. Cioè modulato, riuscito. Vibratile: della terra e del
lavoro, e della stessa politica, raccontati con piglio semplice, cioè sicuro.
Che si legge, praticamente inedito dopo novant’anni, come un saggio di
prim’ordine sulle origini del fascismo – trascurato dagli storici, ma per colpa
loro.
L’impianto della narrazione
si sarebbe detto, nel linguaggio del second dopogiuerra che sembra non finire,
reazioario. Ma sa di verità, e non perché Mussolini lo ha bandito all’uscita
nel 1926, insieme con l’autore. Un “libro di battaglia” lo definirà l’autore riproponendolo
dopo la caduta del fascismo (ma già nell’agosto del 1943, da Caspoggio di Valmalenco, dove operava con
le prime formazioni partigiane). “Un libro torbido ma molto ricco” lo aveva
ditto Borgese alla prima temeraria uscita.
Sulla vita quotidiana in Lomellina al tempo delle lotte contro gli
agrari, e quindi dei fasci di combattmento. E una rappresentazione già smagata
del giochetto al rincaro delle Leghe contadine e le Federazioni proletarie,
agevolate da “avvocati” furbetti, per cui un accrodo firmato è solo pretesto a
nuove richiest. Nel nome di non si sa quale rivoluzione.
“I Conquistatori” era uscito
in appendice a “La Voce Repubblicana” – di cui Perri sarà direttore nel 1945 – nell’estate
del 1924, “mentre imperversava la polemica sul delitto Matteotti”. Così Perri
ne ricostruisce l’idea e le peripezie ripresentandolo a fine guerra. Ufficiale
postale di un paese della Lomellina dal 1920, “ero stato spettatore oculare,
prima delle sciagurate imtemperanze del proletariato, e poi della rapida
conquista che di quella regione attuò il fascismo tra il 21 e il 22; conquista
sanguinosa e brutale”. Rielaborato e rimpolpato, venne pubblicato in volume nel
giugno 1925, sotto lo pseudonimo di Paolo Albatrelli. Fu recensito poco ma letto
molto.
Inizialmengte, la questura si
adoperò presso i librai, per scoraggiarne la circolazione, ma non più di tanto.
“Dopo l’attentato di Bologna” il libro fu invece “anch’esso travolto coi
residui giornali d’opposizione e con tutte le superstiti forze antifasciste”,
Le copie in deposito furono “bruciate in piazza a Roma”. Contattato per una
traduzione in Francia, e forse anche in Russia, Perri deve sottoscrivere una
dichiarazione che non permetterà la pubblicazione in nessun luogo. Lo
pseudonimo non lo salverà dall’espulsione dalle Poste, nel 1926.
Francesco Perri, I Conquistatori, Laruffa, pp. 339, ill,
€ 15
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