Herder
poteva dire a Napoli, nei “Ricordi di viaggio in Italia 1786-87”: “Roma è un
covo di briganti in confronto a questo paese: ora capisco perfettamente perché
lì non mi sono mai trovato bene”.
Il
cofronto tra Roma e Napoli era allora comune, c’è anche in Goethe, e poi in
Stendhal. Milano non c’era, come Firenze, o poco, anzi solo in Stendhal.
Si
traduceva molta poesia dialettale meridionale, specie siciliana, ma anche calabrese
e napoletana, soprattutto in tedesco, tra fine Settecento e primi
dell’Ottocento. La più famosa è la siciliana “Occhiuzzi niuri” – che arriverà
fino in Russia come “Oci ciornie”, canzone, racconti di Čechov e film di
Michalkov trent’anni fa. Herder ne tradusse molte, qualcuna anche Goethe.
“La
ribollente follia delle Sicilie dorate” Yvan Goll contrappone a Berlino, in apertura
del romanzo del 1929, “Sodoma e Berlino”, oggi dimenticato, che inaugurava il
filone della Berlino da bere,
trasgressiva e fredda: “Città della follia glaciale contratta nelle tenebre e
le prigioni, quanto differente dalla ribollente follia delle Sicilie dorate”!–
“Berlino, città del Nord e della morte, dai vetri ghiacciati come gli occhi dei
moribondi …”.
La
squalifica del Sud ci ha messo a prendere piede. Si afferma con la Repubblica.
Più, certo, con la Milano e la Lega, ma anche prima.
L’Unione
Europea finanzia, col programma Cte, Cooperazione Territoriale, progetti in
cooperazione tra più paesi. Con una dotazione cospicua, nove miliardi nel
quinquennio fino al 2010. Ma solo se transfrontalieri, cioè contigui
geograficamente. Il Centro e Sud Italia non possono beneficiarne. Si potrebbe a
questo scopo rendere indipendente la Calabria: Sicilia., Basilicata e Puglia
potrebbero beneficiarne, insieme con la Calabria stessa.
Presentandone
fraterno l’ultimo libro, “Bacio feroce”, sulla prima di “la Repubblica”,
Massimo Giannini lo dice “l’ultimo regalo di Roberto Saviano a un paese che non
si vuole specchiare nelle sue miserie”. E perché un paese dovrebbe specchiarsi nelle
sue miserie? Per fare di Saviano una vedette
televisiva? Dipende dai gusti.
La
prima narrazione di mafia vincente è inglese. Di Graham Greene a ventidue anni,
al suo primo romanzo pubblicato, “The Man within”, l’uomo dentro. Ambientato
tra i contrabbandieri del Sussex, sula Manica. Ne ha tutti gli ingredienti: la
polizia incapace o collusa, giudici pieni di sé e sciocchi, vendette facili,
impunità, pentiti, e un’omertà di ferro - la falsa testimonianza si pratica in
massa.
Una
struttura monumentale di grande, anche gradevole, impatto architettonico e
visivo, quindi turistico (quati selfie…), “l’aria
di un villaggio olandese”, come il piccolo Comune si descrive, “tanto è dipinta
gaiamente da ogni parte, da ogni davanzale sporgon dei fiori, e muri, terrazzi…”, una
sorta di Grande Muraglia italiana, il forte di Fenestrelle, ampiamente fruibile
per la localizzazione, tra Pinerolo e il Sestriere, mezzora da Torino, vegeta
nell’anonimato per l’uso che se ne è fatto: di prigione e tortura per migliaia,
forse diecine di migliaia, di “napoletani” dopo l’unità. Di soldati e civili
che non piacevano al nuovo Stato ma che non si potevano condannare. C’è più di
non detto nella storia dell’Italia che di detto?
Milano provincia
della Cina
Milano
un distretto cinese? Non è solo per ridere. Milano forse non lo sa, non ce lo
dice, ma è cinese la sua ossatura finanziaria, industriale, calcistica, e
perfino quella commerciale, vecchia dote del capoluogo lombardo. I gruppi
economici cinesizzati sono molti e anche di nome: Pirelli,
Krizia, Buccellati, Mcm (automazione), Prelios, Milan, Inter, Infront, Wind 3 (gruppo
russo-cinese), e i maggiori investimenti finanziari da un paio d’anni in qua,
comprese quote di Intesa, Unicredit e Ubi Banca. Con Zte, il colosso della
telefonia mobile, in corsa per il controllo del G5, la connessione istantanea.
E con presenze consistenti in piazza Affari nei maggiori player italiani:
Generali, Fca, Enel, Eni, Tim, Prysmian.
Via Milano sono passati ai cinesi il gruppo lucchese Salov (olio
d’oliva) e il romagnolo Ferretti (cantieristica da diporto).
Molto commercio, al minuto e all’ingrosso, a Milano e nello
hinterland è cinese.
Le due
società
Mark Twain in crociera nel Mediterraneo a fine
1867 è colpito dall’avidità del popolino napoletano: “Il napoletano chiede due
volte il dovuto, e quando lo ha ottenuto chiede di più”. E lo documenta con un
aneddoto. Un forestiero prende a Napoli una corsa in carrozza che costa 50
centesimi. Per vedere l’effetto che fa, paga con cinque lire. Il vetturino dice
“no, no, non bastano”, e rincara. Rincara fino ad arrivare a 7 lire, dopodiché
chiede ancora di più. Il forestiero si fa ridare le 7 lire per darne 10, ma poi
estrae di tasca e dà al vetturino 50 centesimi. Al che il vetturino ringrazia e
chiede 2 centesimi di mancia “per una bevuta”.
L’aneddoto Twain se lo imputa a pregiudizio:
“Si può pensare che ho dei pregiudizi. Forse ne ho. Mi vergognerei di non
averne”. Ma la storiella non è sua, è una storiella “napoletana”. Dei
buoni-e-belli dell’ex Regno che l’avidità del popolino ritengono anche stupida
e perdente, gli intelligenti e dabbene ne vengono facile a capo.
C’era un “noi e loro” nella società
meridionale. Dei ricchi, intelligenti, nobili, notabili, e degli altri. Non i
poveri, se lavoratori onesti, ma gli imbroglioni. Si distingueva molto, nel
notabilato e anche nel popolino, sull’onestà. Era una distinzione netta, e
anche un rapporto di forza. Non necessariamente bruta, che però teneva
socialmente isolato e limitava il crimine.
Una diga, in parte classista, ma solidamente virtuosa. Che si è subito
incrinata e presto dissolta negli anni della Repubblica, per una serie di
cause, lasciando via libera al crimine, che si è viepiù moltiplicato,
organizzato e consolidato (ramificato, diversificato) - è nella Repubblica che
il crimine diventa organizzato e vincente (articolato, diffuso, crescente, e
ora, pare, trasmissibile, al coperto delel leggi sui finti pentimenti).
Le cause sono individuabili con nettezza. La
politica per prima. Quella che oggi si può condannare come voto di scambio,
all’epoca delle preferenze e anche dopo, un effetto perverso della democrazia.
L’emigrazione intellettuale è forse il fattore più robusto, che è stata anche
sociale: ha indebolito e disarmato, numericamente e negli interessi, la classe
media, quella che più era interessata a fare argine. Le priorità dell’ordine
pubblico (giudiziario e polizie) mai mirate, nemmeno ora, malgrado il clima di
antimafia, alla protezione dell’ordine sociale – i Carabinieri non hanno
protetto a lungo, e tuttora non lo fanno, la proprietà.
L’avidità si è così strutturata. Nelle forme
sempre del non lavoro, della non applicazione. Della rapina: pizzo, estorsioni,
occupazione abusive (non si dice, ma non si possono più costruire case popolari
perché non si possono assegnare, sono occupate da bande armate). Ma non
necessariamente, l’avidità è ora anche strutturata e attiva, molto capace dal
punto di vista imprenditoriale e manageriale: droga, credito (la forma mafiosa
più diffusa e meno indagata), appalti, fondi europei e nazionali
all’innovazione e all’ecologia (elettricità, agricoltura, rifiuti, acque). Il
rapporto tra le due società si è rovesciato.
leuzzi@antiit.eu
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