Si
è fatta una legge per equiparare la corruzione alla mafia. È un bene per il Sud
– il tutto è mafia? È un male per la mafia?
È
un bene per don Ciotti: le legge vuole che i beni dei corrotti siano confiscati
e assegnati ad “amministratori capaci di assicurare imprese e occupazione”. Cioè
a “Libera” di don Ciotti.
Equiparare
le imprese alla mafia solo a un prete poteva venire in mente - eccettuando la
sua impresa naturalmente. E a una di sacrestia come l’onorevole Bindi, eletta
in Calabria – dalla ‘ndrangheta naturalmente? Quanto bene avrà fatto alle mafie
don Ciotti?
“Milano franchising della Calabria”, si culla Milano al
piatto offertogli da Ilda Boccassini. Che però accusa i suoi imputati di corruzione,
non di mafia. La Calabria ha finalmente imparato la lezione di Milano?
Meridionali
A
proposito dell’adolescenza di Goethe, vissuta nell’occupazione francese post-1759
nella Guerra dei Sette Anni, col comandante francese a Francoforte, Thorenc,
ospite in casa, Michel Tournier nota, “Le bonheur en Allemagne?”: “Goethe parlava
senza dubbio francese con l’accento meridionale di Thorenc. Siccome è il caso
anche di Napoleone, i loro famosi dialoghi del 1808 a Erfurt dovevano risuonare
molto meridionali”.
“Meridionale”
è anche Giovannino Russo, ora morto. Non un gentiluomo colto, scrittore, commediografo,
che si occupava con passione anche del Meridione.
Napoli
vs. Juventus made in Calabria
Il pm del pallone Pecoraro vuole il presidente della Juventus,
un Agnelli, alla cayenna e alla berlina per aver passato blocchi di biglietti
delle partite agli ultras ‘ndranghetisti.
Non in Calabria, a Torino. Non di
persona, a iniziativa dei servizi biglietteria della società. Non agli ‘ndranghetisti
ma a un calabrese di Torino figlio di un immigrato della Calabria imparentato
con gli ‘ndranghetisti. Che sono rimasti invece ed esercitano a casa, in
Calabria.
Il tribunale del pallone ha dato ragione solo in parte a
Pecoraro. Non sulle colpe di Agnelli. Ma su quelle dei calabresi sì. Che
tifavano Juventus e ne distribuivano i biglietti. Una sentenza ben politica: di
qua e di là. I fatti? Irrilevanti.
Pecoraro è un capitolo a parte, tutto suo. Da prefetto di
Roma fu un eminente trattativista. Allo scoperto, in mondovisione, trattò con Jenny
‘a carogna. Era anche uno che voleva la discarica di Roma a Villa Adriana. Non
proprio dentro la villa, accanto.
Ma c’è un ma: Jenny ‘a carogna era, mafioso dichiarato,
napoletano, e Pecoraro è un napoletano. Con “Jenny” (Gennaro…) quindi tratta. Con
la Juventus invece ce l’ha, come tutti i napoletani da qualche anno. E non può
non mettersi sotto i piedi un calabrese, sia pure fuoriuscito a Torino.
Da Boccassini a Pecoraro la maledizione di Napoli continua
a pesare sempre sulla Calabria.
Nessuno tocchi
Milano
“Ma
Milano conta?”, si è chiesto il “New Yokk Times” alla fashion week di Milano. Non
è una novità, dice Gabbana: “I giornalisti del «New York Times» non entrano
alle nostre sfilate da anni, eravamo stanchi degli insulti, così abbiamo deciso
di lasciarli fuori”. Cos’è, una vendetta? Ma il giornale americano dava anche una
spiegazione: “Milano non è mai stata una città della moda intellettuale… «Sono
solo vestiti» è la solita frase”. Solo in Italia Milano si vuole tutto, commercio
e anche intelletto.
L’articolo
di Vanessa Friedman, responsabile del supplemento Moda del quotidiano newyorchese,
donna garbata, laureata di Princeton, sposata con figli, una monografia su
Emilio Pucci, a lungo responsabile Moda del “Financial Times”, non è contro
Milano, a leggerlo. Si apre con Pinault, patron
di Bottega Veneta che, la mattina delle sfilate della sua casa, si preoccupa di
altro: il terremoto in Messico, tanto più per essere sposato con l’attrice
messicana Selma Hayek, e la possibilità che Trump derubrichi alcuni aspetti del
reato di violenza sessuale, soprattutto nelle università, rendendone più
difficile la prova. Un fatto, le violenza sessuali nelle università, su cui una
fondazione di Pinault è impegnata.
Legata a Obama, la capo redattrice Moda era perplessa già otto anni con “L’Espresso”, dove raffrontava sfavorevolmente la moda italiana con quella americana. Un raffronto che sembrava ridicolo ma non senza motivo: “Negli Usa una pletora di stilisti emergenti rendono il panorama generale molto più articolato e interessante, merito anche delle celebrities e del ruolo che ha giocato finora Michelle Obama. Questo stesso fermento e ricambio generazionale mancano in Italia, dove si respira un’aria stagnante”.
Si può scusarne l’entusiasmo, con gli Obama gli Usa promettevano di uscire dall’età della pietra. Nell’articolo del “New York Times” Vanessa cerca, sempre per ovviare al proprio nome-programma?, presentando la settimana milanese, di darle uno spessore “politico”, di ambientarla nel mondo oggi con una sua propria caratterizzazione. Con molte foto, molto grandi. E l’annuncio di un’edizione speciale per la Milan Fashion Week due giorni dopo, “Our Favorite Photos of Milan Fashion Week”. Ma a Milano non basta mai.
Legata a Obama, la capo redattrice Moda era perplessa già otto anni con “L’Espresso”, dove raffrontava sfavorevolmente la moda italiana con quella americana. Un raffronto che sembrava ridicolo ma non senza motivo: “Negli Usa una pletora di stilisti emergenti rendono il panorama generale molto più articolato e interessante, merito anche delle celebrities e del ruolo che ha giocato finora Michelle Obama. Questo stesso fermento e ricambio generazionale mancano in Italia, dove si respira un’aria stagnante”.
Si può scusarne l’entusiasmo, con gli Obama gli Usa promettevano di uscire dall’età della pietra. Nell’articolo del “New York Times” Vanessa cerca, sempre per ovviare al proprio nome-programma?, presentando la settimana milanese, di darle uno spessore “politico”, di ambientarla nel mondo oggi con una sua propria caratterizzazione. Con molte foto, molto grandi. E l’annuncio di un’edizione speciale per la Milan Fashion Week due giorni dopo, “Our Favorite Photos of Milan Fashion Week”. Ma a Milano non basta mai.
Calabria
Domenico
Grimaldi, l’economista, imprenditore e filosofo, genovese di adozione (in
omaggio al nome di famiglia), studioso dell’agricoltura in Provenza, Piemonte e
Svizzera, oltre che in Calabria, georgofilo, giudicava nel Settecento che il
“genio” dei calabresi si manifesta “quando viene animato”, provocato, e non di
propria iniziativa. E aggiungeva che è “facile a cadere nell’inerzia e
nell’avvilimento, quando trova degli ostacoli forti”.
Grimaldi
era di Seminara (ci era nato nel 1734, morirà a Reggio Calabria nel 1805),
aveva studiato a Napoli con Genovesi, compagno di studi e di idee di Mario
Pagano e Antonio Jerocades, e scriveva nel 1770. Forse il calabrese si è adattato
per non dargli torto.
Martedì
5 settembre – ma il giorno non è importante, è uno qualsiasi – sul “Quotidiano
di Calabria”, tra bambine rapite, processi di cinquant’anni fa da rifare, unico
imputato Riina, che dunque vive ancora, furti di elettricità, stupratori da
estradare, rifiuti in massa delle vaccinazioni infantili, dolori scheletrici
diffusi, e le solite notizie locali (arresti, intimidazioni, attentati, il “caso del
giorno” al porto di Gioia Tauro - il più ordinato al mondo – e i santini mafiosi
della Madonna di Polsi), in aggiunta a Kim Jong-Un e Regeni una buona: “Record
di italiani all’Oktoberfest”. Unica ma importante: vanno tutti a bere la birra
a Monaco di Baviera, non solo gli
italiani, “le prenotazioni in tutta Europa
sono aumentate complessivamente dell’80 per cento - quelle italiane del 78”.
A
Locri l’acqua ad agosto è razionata. Malgrado il divieto, qualcuno lava la
macchina. Un vicino lo mette su facebook, e i vigili urbani pronti lo multano.
Poi dice che la legge non viene osservata.
Un
mondo senza urbanità. Senza un centro propulsivo. Niente grandi città. Niente
corti, nemmeno baronali – i baroni stavano a Napoli e nessuno di loro è
ricordato per evergetismo, o anche soltanto opere di bene. Tra feudatari anzi
“di anarchico particolarismo”, così li sintetizza lo storico Galasso, che li ha
studiati e anche frequentati, in discendenza, “antistatale e antiepocale”.
Ci
sono molti più Calabrese fuori che in Calabria,. È ovvio, il nome designando un’origine. Ma quanti emigrati –
secondo molti è la regione che ha più emigrati, in rapporto alla popolazione in ogni anno di emigrazione.
La
tradizione è di una Calabria “opulentissima”. Ma più per l’etimologia, Calabria
significando abbondanza di cose belle.
Di fatto, cioè per la natura, lo è. Lo sarebbe, benché montagnosa - non
mai arida. Ma il giudizio è negativo di un viaggiatore benevolente, Giovanni
Pistoia, lombardo o piemontese, “Alle radici del presente”, già a metà del Seicento.
La seta? “Più gelosa è la ciurma de’ nostri (lombardi), come più squisito senza
paragone è l’artificio che usiamo noi nel filar dagli stessi bombrici la seta”.
L’approssimazione non fa difetto nemmeno ora.
“Se
questi popoli si conservano fedeli al re è gran meraviglia”, notava ancora
Pistoia: tali e tanti “sono balzelli e soprusi”. Al punto che è meglio per molti
emigrare tra gli infedeli e farsi mussulmani, “ove meno crudele appare l’ingordigia
di qualche signore”. Oppure darsi al brigantaggio.
Il
turismo langue a Reggio Calabria, città decentrata, e il Museo Archeologico, il
più ricco dopo quello di Napoli, ha visitatori in piccoli numeri, non proporzionati
all’impegno espositivo. Non però le domeniche gratuite: il MArRc di Reggio è fra
i primi, se non il primo, dei musei di antichistica visitato in base alla inziazitiva
#domenicalmuseo, al museo gratis. Le domeniche di agosto, col termometro a 38°,
45° di percepito, ha staccato fra tre e quattromila biglietti.
Si
racconti qualsiasi evento sulle gazzette locali, sia pure una macchia di sporco
nel mare preferito, il riferimento classico è d’obbligo fra chi scrive. Se a
Sellia Marina il depuratore non funziona e scarica liquami, non si dice perché,
e come va riparato o cambiato. Si scrive: “Purtroppo questa costa, che incantò
il mitico Ulisse, ha perso l’antico splendore…”.
La
sanità in Calabria è commissariata perché in rosso. Malgrado le ristrettezze, però,
il commissario alla Sanità trova le risorse e la via per ricostituire gli
organici, in difetto di 1.400 unità. Ma un suo primo decreto per le assunzioni
dei 1.400 operatori mancanti è scaduto perché le “forze politiche” non si sono
messe d’accordo sulla ripartizione delle assunzioni – se bisognava o non fare
posto anche ai 5 Stelle. Non è inventata, è vera.
Ora
il commissario umilmente chiede che le “forze politiche” si mettano d’accordo
preliminarmente, in modo da non far scadere anche il secondo decreto.
leuzzi@antiit.eu
Nessun commento:
Posta un commento