Un racconto breve, scandito
su otto brevissimi capitoli. Di una donna solitaria, con un figlio che si esercita
al piano, alla sonata di Diabelli, che scivola verso la perdita di sé, incerta,
insoddisfatta, debole. Sulle note della sonatina di Diabelli, con cui il figlio infante si esercita al piano. Per accadimenti non accadimenti, pochi: una donna che
muore sul marciapiedi, assassinata, contratta nell’estasi mentre la bacia
(forse) il suo assassino, la conversazione a distanza con un operaio al caffè, il
moderato cantabile di Diabelli come sottofondo, suonata da un bambino che forse
non è mai arrivato. In dialoghi ovattati, che non dicono più che dire – i dialoghi
aperti che saranno la cifra della scrittrice-regista.
Un racconto di settant’ani
fa, che avviava la stagione della incomunicabilità. Tradotto subito in italiano
da Einaudi, nella raccolta sotto il titolo “I cavallini di Tarquinia”, poi
ripreso col proprio titolo nell’Universale Feltrinelli, è ora ritradotto da
Rosella Postorino. Più memorabile il film che Peter Brook ne trasse due anni
dopo, con Belmondo e Jeanne Moreau. Più mosso cioè, dettagliato: il racconto è
come l’interno di una nuvola, attutito più che moderatamente cantabile, di
suoni e persone che volessero spegnersi. Addolorati forse, ma senza lamentarsene.
Marguerite Duras, Moderato cantabile, Nonostante, pp. 136
€ 15
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