Pierluigi Panza, già autore
di “La croce e la sfinge. Vita scellerata di Giovan Battista Piranesi”, ritorna
sul suo personaggio. Con dovizia di documentazione – oltre 400 illustrazioni.
Per piranesiani e non: la ricostruzione degli affari dell’incisore si legge
come un racconto a ogni pagina sorprendente.
Piranesi fu ingenegnere,
architetto, incisore, calcografo, e tombarolo, contrabbandiere di reperti
archeologici. Un commerciante di antichità, con bottega a Trinità dei Monti,
nei pressi. Molto abile, come venditore, e come apprestatore delle opere da
rivendere. Un po’ contrabbandiere, stanti le reiterate bolle papali contro la
dispersione o l’alterazione del patrimonio archeologico. Ma, poi, ognuno aveva
libertà di scavo a Roma e negli Stati romani a metà Settecento: ben 64 cantieri
Panza conta di scavi inglesi autorizzati.
Moltissimi reperti venduti da
Piranesi andarono all’estero. Panza ne identifica 270: teste, busti, vasi,
candelabri, bassorilievi, cippi. Oggi disseminati tra 43 musei e collezioni
private. La raccolta più cospicua è a Stoccolma, dono del re Gustavo III. I
sovrani svedesi a lungo furono di casa a Roma, fino al sovrano regnante, e
Gustavo III in un solo viaggio si portò via 96 pezzi.
“Piranesi si è arricchito
sopra 100 mila scudi”, calcolava sdegnato l’architetto Vanvitelli. Che era
napoletano – certo, di origine olandese. Piranesi era veneziano.
Pierlugi Panza, Museo Piranesi, Skira, pp. 582, ill. €
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