Il romanzo d’esordio di
Greene, scritto a ventidue anni, dopo due romanzi rifiutati dall’editore, che
lo consacrò all’uscita nel 1926 autore di successo. L’odio del padre conduce il
protagonista a una serie di sconfitte. Compreso il primo e ultimo amore.
Greene lo riscrisse nel 1971,
ma poi lasciò da parte la revisione, per non eliminarne “la sola qualità forse
che possedeva, la giovinezza”. Il passo è lento per voler essere sicuro
(autorevole). La narrazione è statica, articolata su tre-quattro grossi grumi
teatrali. Per questo, forse, è un’opera non fortunata in traduzione: una sola
ne è stata fatta, lontanissima, nei “Marmi” Longanesi. Ma di molteplici
qualità. Una capacità quasi naturale di suspense,
malgrado la staticità delle situazioni. Uno dei grumi teatrali è un legal thriller, in anticipo sul genere,
molto effervescente. C’è pure un legame omoerotico, di dipendenza affettiva.
Anticipata è anche la figura
del pentito, centrale al racconto. È un primo caso, si può pure dire, di mafia
vincente, completa di omertà. Non viene chiamata mafia ma lo è: come è prassi
per G. Greene, anche questo romanzo viene presentato come una storia di
tradimento e persecuzione, ma è una storia di mafia.
Un romanzo di solitudini. Nel
Sussex, un’Inghilterra di provincia alle porte di Londra, in cui l’ordine
pubblico è ancora affidato ai Bowstreet Runners, gli antesignani delle moderne
polizie.
Graham Greene, The Man within, Vintage, pp. 223 €
11,20
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