Amadou Hampâte
Bâ. pur
professandosi incompetente, benché discepolo e amico di Théodore Monod, dà
senso profondo nella introduzione alla religiosità in Africa Nera, quella che si definiva
animismo. “La religine non è in Africa causa di stagnazione né fonte di
conflitti”, tribali, territoriali. “L’Africa non è minore che nel campo tecnico;
è matura quando si tratta dell’umano. Non ha mai cessato di vivere nella naura”. Tutto è ancora tribù, i reperti vengono
classificati come riti dei Peul, Dogon, Songhai, Mossi, Ashanti, Yoruba, etc.,
ma la tribù non è inimicizia e distruzione, non nel sentimento religioso.
Un repertorio d’ieri che si
scorre come un reperto remoto. Con la fuga in massa dal continente, e gli
eccidi religiosi in Somalia e in Nigeria, le due verità cessano di essere vere.
Una raccolta del 1965, promossa peraltro dall’Unesco già allora come un
reperto. La stessa curatrice, Germaine Dieterlen, la presentava in termini di persistenze,
se non residui: “Già prima della loro pubblicazione (degli scritti qui compresi,
n.d.r.), “i contatti con l’Occidente, i cambiamenti apportati all’economia, l’importanza di religioni straniere,
islamismo e cristianesimo, avevano modificato il senso di queste credenze e
questi miti”.
Perché rieditare la raccolta –
una serie di preghiere e incantesimi, e di inziazioni, compreso il linguaggio dei tamburi? Per la storia. Per
mettere in contesto la contemporaneità: una perdita. L’Africa ha perduto anche quel
(poco) che aveva.
Resta la teologia semplice
che Hampâte
Bâ ha mediato dal suo maestro Tierno Bokar islamico di
suo, mistico sufi, “il san frncesco d’Assisi del Mali”. Se non ci fosse “una
forza regolatrice” il mondo potrebbe anche essere capovolto: “Questa forza
inaudita che sembra anbigua a certi esperti non lo è affatto in Africa Nera.
Per il Nero Dio esiste”.
Textes sacrés d’Afrique Noire, Folio Essais, pp. 389 € 9,80
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