Un uomo, un artista, cantante
folk, Don Fuego, perde il lavoro al Buena Vista Social Club, ceduto a
immobiliaristi americani, e incontra l’amore, a sessant’anni. In figura di una
ventenne rossa, occhi verdi, silhouette
di brace, che fa scattare il thriller, una dark
lady. Ma dopo molte pagine vuote. Con esito non esito: l’arte vincit omnia, e Don Fuego torna ad
aspettare di diventare, all’ultima riga, “l’eterno inno alla vita”. Dopo aver
filosofato per una paginetta, a mo’ di morale, su ciò che vorremmo essere e che
siamo.
La proletarizzazione, anche
dell’artista, al tempo delle privatizzazioni – due terzi del libro sono
peregrinazioni in cerca di occupazione. Così si sarebbe detto un tempo. Oggi
non fa storia: ognuno è un manichino di interessi remoti, non specialmente
cattivi, ma ciechi e dissolutori. E questo è il romanzo:
un apologo, non una storia. Cuba c’entra poco. Se non per il regime, imperscrutabile,
la tristezza, di turisti senz’anima e film in tv in bianco e nero, e l’insania
(esperienze estreme) che si lega ancora ai Caraibi.
L’assetto è quello di Graham
Greene, “Il nostro uomo all’Avana”: il pover’uomo solo, con problemi, economici
e della figlia adolescente. L’isola è solo uno scenario, anch’esso senz’anima. “Yasmina
Kahdra” vi si avventura, molto in dettaglio, e non ci restituisce niente. Né il
Buena Vista, il club famoso di cui tanto parla, né l’isola, né l’oceano, né
Castro, né gli anti. Si legge per la “pasqualite” di Renzo Arbore – per vedere
come va a finire. A margine, solo a margine, c’è l’amore con la follia. Il thriller non sbarca a Cuba
Fuori dall’Africa e il Medio
Oriente, lo scrittore perde la lingua – nell’originale francese suonano stonati
anche gli idiotismi d’Algeria. Come un Camilleri che raccontasse un altro mondo
che la Sicilia.
Yasmina Khadra, Dio non abita all’Avana, Sellerio, pp.
244 € 16
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